Violenza alle donne, ribadire l’ovvio aspettando uno scatto culturale

Corre l’obbligo di ribadire l’ovvio quando la rivoluzione culturale stenta. Ogni giorno è il 25 novembre. Vero, perché ogni giorno ci sono donne vittime di violenza. Denunciate sempre. Vero: è il solo modo per spezzare il gioco che annienta. Ma l’ovvio che è necessario ribadire, purtroppo, è che la situazione non cambia. Perché, appunto, ogni giorno è il 25 novembre. E sì, le denunce per fortuna aumentano ma le violenze non diminuiscono. E se le donne, che di coraggio ne hanno sempre avuto, adesso iniziano anche ad avere fiducia, quella rivoluzione culturale tanto attesa che ci porterebbe avanti di mille anni, precisamente al 26 novembre, non arriva.

La superficie s’è svegliata, intendiamoci. Le campagne di sensibilizzazione si moltiplicano, così come gli sforzi di forze dell’ordine e di associazioni e centri antiviolenza (non saranno mai abbastanza ringraziati). Ma la pancia resta quella. Quella che con sbarazzina leggerezza modaiola si taglia una ciocca di capelli senza rischiare nulla per sostenere chi, l’agognata rivoluzione culturale, la sta facendo sul serio. Quella che si indigna davanti alla Tv e applaude dal divano di casa la nazionale iraniana versando qualche lacrima, che sia commozione o rimpianto è da decidere, davanti a un coraggio che non avrà mai. Quella pancia che spalanca le labbra davanti alla prima premier donna neanche si fossero aperte le acque del Mar Rosso, che si accapiglia su il o la, ma non realizza la centenaria discriminazione insita nel fatto che una dicitura al femminile per il/la presidente del consiglio in Italia non sia prevista.

La pancia che giudica: la gonna, la canottiera, i tacchi, l’assenza di tacchi, la chirurgia estetica o il bicchiere di vino bevuto dalla vittima di uno stupro. La pancia cinica che tace. Tace davanti ai lividi, alle coltellate, all’ossessione del possesso. Una pancia che si scuote davanti alla pornografia della violenza ma non è capace di portare rispetto. Per la vita degli altri. Alla fine il problema è tutta questa cosa qui. Ribadiamo necessariamente l’ovvio e aggiungiamo una parola: rivoluzione culturale sociale. In attesa che arrivi l’alba del 26 novembre.

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