VISTO&RIVISTO L’America razzista con gli occhi di Spike Lee

di Andrea Minchella

VISTO

BLACKKKLANSMAN di Spike Lee (USA 2018, 135 min).

Prima gli americani. Sembra uno slogan attuale, che calza perfettamente a qualsiasi democrazia in cui certi slogan è possibile gridarli, cantarli o, addirittura, inserirli in un programma politico. Siamo invece nell’ America degli anni 70, in quella parte di America in cui il razzismo ha sempre avuto delle radici profonde e che non sembra registrare mai una vera battuta d’arresto.

Tratto dal libro del poliziotto Ron Stallworth, il film racconta di uno strano caso di agente sotto copertura che si infiltra nella florida organizzazione del Klu Klux Klan della sua città: Colorado Springs. La stranezza sta nel fatto che la mente dell’operazione è un giovane poliziotto afro americano, qui interpretato da un promettente John David Washington, figlio del mastodontico Denzel. La storia sembra volutamente raccontata in maniera leggera, come i primi e leggendari film del maestoso Spike Lee. La colonna sonora è molto curata e l’atmosfera che si respira è quella dei black-movies degli anni 70, citati nel film, come Shaft o Coffe, che vedevano sempre come protagonisti incontrastati degli iconici personaggi, che ben esprimevano la resistenza nera alla pesante e profonda presenza di organizzazioni razziste come il famoso e antico Klu Klux Klan. Il finale, fatto di immagini vere, rende tutto il lavoro di Spike Lee più intenso e penetrante di come può invece sembrare, apparentemente, durante la visione.

Tra i produttori c’è Jorfan Peele, che due anni fa ha sbalordito critica e pubblico con la regia di “Scappa-Get Out”, fiaba horror che al centro aveva una particolare e moderna visione della perenne lotta tra bianchi e neri.

Spike Lee confeziona un bel film, lontano certo dai suoi cult come “Fa La Cosa Giusta”, o “Mò Better Blues”, ma che riesce in maniera leggera e semplice a raccontarci una bella storia ambientata in una vera e propria zona di guerra urbana.

RIVISTO

DONNIE BRASCO di Mike Newell (USA 1997, 122/147 min).

“donnie? ma che te lo dico a fare…”. Questa frase ormai entrata nel gergo di tutti ben rappresenta il rapporto tra Benjamin, un Al Pacino al culmine della sua capacità interpretativa, e Donnie, un Johnny Depp in una delle sue poche riuscite interpretazioni, rispettivamente un piccolo boss mafioso della New York degli anni 70 e Joe Pistone, famoso e reale agente dell’FBI infiltrato per lungo tempo nella mafia newyorkese.

A dirigere il tutto un bravo Mike Newell, reduce dal successo planetario di “Quattro Matrimoni e un Funerale”.

La storia fà emergere in maniera sconcertante quanto sia difficile e pericoloso infiltrarsi in un’organizzazione così complessa come la mafia. Quando sei un infiltrato puoi soltanto fare affidamento su te stesso, e una minima contraddizione può costarti la vita.

Spike lee minchella – MALPENSA24