VISTO&RIVISTO Blonde, dietro la luce spesso c’è il buio. E la morte

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di Andrea Minchella

VISTO

BLONDE, di Andrew Dominik (Stati Uniti 2022, 167 min., Netflix).

Che dire. Un pugno allo stomaco. Che disintegra completamente l’idea annacquata che molti di noi hanno di una Hollywood sì spregiudicata e pericolosa, ma non così tanto disumana e tossica come invece ci viene descritta in questo ritratto schietto e autentico dell’icona femminile del cinema per antonomasia.

Marilyn Monroe è stata vittima di sé stessa, della sua vita, della sua infanzia, dei suoi demoni, della sua dolcezza, della sua bellezza e della sua ambizione. Il bravo Dominik scrive e realizza un inedito affresco dell’attrice californiana e indaga senza retorica le difficoltà della persona, della donna, di emanciparsi dal suo personaggio. Senza scomodare Pirandello o la tragedia Greca, “Blonde” chiarisce in maniera plastica, forse con qualche peccato di modestia grammaticale da parte del regista, la difficoltà di ognuno di noi di convivere con ciò che gli altri conoscono e vedono di noi. Quello che siamo e quello che mostriamo non sempre coincidono. La discrasia tra le due nostre anime genera spesso una difficoltà patologica che ci può rendere fragili e sempre in pericolo di caduta.

Marylin Monroe è forse la prima attrice che si scontra violentemente con il personaggio che l’industria cinematografica le impone. Lei, che alla nascita era Norma Jeane Mortenson Baker, vive in maniera tragicamente somatica la contraddizione del mondo del cinema e dello spettacolo che non ammettono fragilità o tracce di vita privata in pubblico. Marilyn si accorge subito che i suoi amori e le sue scelte personali diventano proiettili pericolosamente conficcati nella sua anima fragile e sofferente, sparati da chi la vuole sempre sensuale e ingenua

L’infanzia di Norma, come l’inizio del film ci svela violentemente, è piena di sofferenze e dolori. La madre Gladys Pearl, che faceva la montatrice di film nei mitici “studios” della RKO, soffriva di disturbi mentali, anche a causa della gravidanza di Norma. Il padre di Norma, infatti, alla nascita della bambina se ne era andato abbandonando le due donne, e ributtando addosso la povera Gladys rancori e sensi di colpa che infettarono irrimediabilmente il rapporto tra lei e sua figlia. Quando la malattia della madre peggiorò la piccola Norma venne affidata ad un orfanotrofio e la madre Gladys rinchiusa in un manicomio. Questi passaggi drammatici segneranno per sempre l’anima della futura Marylin che per tutta la sua breve vita cercherà la figura del padre mai conosciuta e il rapporto con una madre che non le risparmiò traumi a causa della sua malattia.

Marilyn Monroe, attrice di successo e donna bellissima, diventa la barriera della piccola Norma perché possa proteggerla dal mondo affamato della sua immagine accecante e travolgente. La sua schizofrenia amorosa (tre furono i matrimoni) e le gravidanze mai portate a termine aggravarono un’esistenza già marchiata da traumi e abbandoni che la resero insicura e delicata. La sua breve vita, densa e carica comunque di esperienze intense ed uniche, fu come una barca di legno perduta in mezzo ad un oceano buio e melmoso in cui perdersi poteva diventare una naturale e logica conseguenza di un successo planetario senza tempo.

Dominik sceglie una bravissima Ana de Armas e le cuce addosso una Marilyn ai limiti del bipolarismo e continuamente alla ricerca disperata di un raggio di luce, di un attimo di serenità. La solitudine che avvolge il gracile corpo di Ana de Armas sembra non scalfirne la bellezza, ma intacca prepotentemente la mente e il cuore dell’attrice. Il regista alterna, poi, un bianco e nero con un colore anticato per ritmare, quasi in modo schizofrenico, l’altalenante vita di Marilyn. Il colore della pellicola sembra seguire una cromia legata agli stati d’animo più che ad una necessità di dare un senso cronologico alla vicenda.

Dominik, dunque, prende un mito assoluto e lo spoglia della pelle superficiale per donarci, come in un antico rito sacrificale, le viscere, la carne ed il sangue di una donna la cui vita è stata caratterizzata da violenze e soprusi compiuti dalla maggior parte delle persone che ha incontrato, presidenti, o aspiranti tali, compresi.

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RIVISTO

JACKIE, di Pablo Larrain (Stati Uniti- Cile- Francia 2016, 99 min.).

L’angosciata e angosciante presa di coscienza che è sempre stata sola. Jacqueline Bovier Kennedy, una grandiosa Natalie Portman, si rende conto, dieci giorni dopo i fatti di Dallas, che la tragedia che la ha colpita è soltanto la consapevolezza violenta e plastica della sua condizione di donna inerme e abbandonata in un ambiente che non può governare.

L’amarezza di non essere mai stata amata diventa narrazione dell’anima in una lunga e sofferta intervista di Jackie al giornalista Theodore H. White della rivista Life.

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