VISTO&RIVISTO L’eroe cattivo di un’America miope

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di Andrea Minchella

VISTO

RICHARD JEWELL, di Clint Eastwood (Stati Uniti 2019, 129min.).

L’algoritmo (vincente) di Clint Eastwood non cambia: l’eroe americano, con le sue contraddizioni, con le sue fragilità, con le sue zone d’ombra, in una storia avvincente ben scritta ed egregiamente trasferita su pellicola. Il quasi novantenne regista, attore, produttore americano ci regala un altro personaggio controverso dell’America moderna, forte e debole nello stesso tempo, spaventata da nemici che spesso si confondono nella sottile linea fra “buoni e cattivi”, e confondono le autorità che, invece, dovrebbero proteggere e difendere il patriottico popolo statunitense.

Anche in questo caso Eastwood decide di raccontarci la vicenda drammatica di un cittadino americano che, durante il suo umile e sacrosanto turno di lavoro, riesce con acuta ed “esagerata” professionalità a limitare i danni di un’esplosione a scopo terroristico che avviene durante le Olimpiadi di Atlanta del 1996. Richard Jewell, così si chiama il protagonista, è un vigilante, troppo innamorato delle forze dell’ordine, che fa servizio durante uno dei tanti concerti organizzati nel contesto olimpionico. Proprio la sua eccessiva ossessione per l’ordine e le procedure d’emergenza faranno in modo che l’esplosione abbia un impatto molto inferiore sul pubblico della manifestazione: solo due morti e circa cento feriti saranno i numeri di una tragedia che poteva avere un effetto molto più tragico.

Se da subito, quasi in maniera compulsiva, i “media” osannano e santificano “l’eroe” Jewell, il classico bravo ragazzo americano, grassottello e mammone, che grazie alla sua spasmodica passione per la polizia salva parecchie vite umane, a poco a poco l’FBI, che ha sempre il delicato compito di individuare subito dopo un fatto tragico una strada da percorrere, comincia a puntare i fari sullo stesso Jewell, lasciando che la stampa amplifichi questo cambio di passo. E così il “santo ed eroe” Richard si ritrova nel giro di qualche ora travolto da una valanga di dubbi, sospetti e, sempre più violente, accuse. Gli stessi agenti che indagano su di lui, riconoscendone alcuni tratti infantili, lo “invitano” a collaborare facendo leva sulla sua cristallina serietà e sul suo religioso patriottismo. Solo l’intervento di un “amico” di Richard, avvocato che disdegna ogni forma di abuso di potere, renderà più difficile la lotta impari che si è instaurata tra il Governo Americano e il piccolo ed indifeso Richard Jewell.

Eastwood, come ormai accade da parecchio tempo, sente l’urgenza di raccontare queste storie, che, più di altre, incarnano le mille contraddizioni di un paese forte nell’”auto percezione” di sé, ma debole nel controllo accurato del territorio. Siamo nel 1996, cinque anni prima del tragico evento delle Torri Gemelle.

L’America raccontata da Eastwood è un’America in cui la stampa e la televisione hanno già un potere gigantesco che usano per indirizzare ciò che deve pensare l’opinione pubblica. Con la triste conseguenza che una notizia, anche falsa o non verificata, può distruggere la vita di una persona per sempre. Perché, anche quando si ammette di aver sbagliato, l’idea che ci si è fatti è talmente aggrappata alla nostra opinione, che il dubbio comunque rimane per sempre. E così succede a Jewell che, pur essendo scagionato da ogni accusa, rimarrà segnato, ferito e deluso per sempre. Il dolore e le violenze che ha vissuto sono un costo troppo elevato da poter essere dimenticato.

Emblematica la sequenza della conferenza stampa della madre di Jewell: il silenzio trafitto da una serie di flash fotografici che, ad ogni scatto, paiono i proiettili di un esercito sordo, insensibile, assetato soltanto di un mostro da sbattere in prima pagina. Solo un maestro come Eastwood poteva raccontarci quell’attimo con una tale, attenta e profonda analisi.

Oltre al bravo Paul Walter Hauser e alla potente Kathy Bates, il film ci regala un sempre più gigantesco Sam Rockwell che riesce in maniera superba ed umana a raccontarci un personaggio cardine e profondamente semplice all’interno di una vicenda molto articolata e mai scontata.

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RIVISTO

EROE PER CASO, di Stephen Frears (HERO, Stati Uniti 1992, 115 min.).

Il bravo e britannico Stephen Frears ci regala apparentemente una commedia con qualche tratto comico. In realtà anticipa la grande rivoluzione che la televisione sta per vivere: l’invasione di “storie vere” che possano commuovere il pubblico di tutto il mondo. Il film, prendendo spunto da un fatto tragico e dal conseguente atteggiamento eroico di un ladruncolo di professione, punta i riflettori sulla mancanza di morale della società contemporanea che nella televisione ritrova le sicurezze che nella vita vera non trova più.

Il regista ci racconta di un atto eroico che viene compiuto più per necessità che per reale eroismo del protagonista. La bella vicenda in cui troviamo Geena Davis, all’apice della sua bellezza e della sua professionalità, e Dustin Hoffman, bravo e profondo, ci fornisce un’originale analisi sulla “morale della situazione” che fa sentire eroi anche chi agisce solo per interesse ma che viene equivocato da una televisione ormai assetata di eroi, esempi ed insegnamenti da gettare su un pubblico sempre più anestetizzato e facilmente manovrabile.

La riflessione che ne scaturisce è certamente complessa e piena di dubbi su una “media-cracy” che non fornisce asciutti e oggettivi spunti di riflessione, ma che bombarda le persone con finti ideali e pericolose e distorte analisi della realtà.

Da rivedere per la sua freschezza di temi e caratteri narrati.

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