VISTO&RIVISTO L’inesorabile e imbarazzante malattia del cinema italiano

minchella leo bruno
Rocco Papaleo e Giovanni Storti tra gli interpreti de "I peggiori gorni"

di Andrea Minchella

VISTO

I PEGGIORI GIORNI, di Massimiliano Bruno e Edoardo Leo (Italia 2023, 117 min.).

Non tutto il male viene per nuocere. O quasi. Questo “I Peggiori Giorni” esce a pochi mesi di distanza da “I Migliori Giorni” sempre di Edoardo Leo e Massimiliano Bruno e sempre diviso in quattro capitoli. I due film insieme compongono un dittico che indaga sulle relazioni umane durante alcune delle feste e ricorrenze più importanti.

Se nel primo film le feste prese in esame erano il Natale, il Capodanno, San Valentino e l’8 marzo, qui le persone danno il peggio di loro ancora a Natale, il primo maggio, a Ferragosto e durante la festa di “Halloween”. Sulla carta il progetto può avere un senso e contiene un’infinità di spunti per realizzare un ritratto spietato e sincero della complessità dell’essere umano. I rapporti tra le persone, soprattutto in ambito familiare, sono sempre stati ottimi ingredienti per registi ed autori che sono stati in grado di raccontare senza sconti né retorica il peggio che un uomo è disposto a dimostrare senza avere neanche un briciolo di umanità.

Questo accadeva, e accade, se dietro la macchina da presa si sedevano Mario Monicelli, Dino Risi, Marco Ferreri, o se si siedono Paolo Virzì, Daniele Luchetti o Ferzan Ozpetek, e molti altri. Se però, come in questo caso, il progetto viene poi trascritto, nella sceneggiatura e su pellicola, da autori che non scendono veramente in profondità, ma ristagnano in superfice per limitarsi a confezionare un racconto stereotipato che faccia ridacchiare più che riflettere, allora il risultato è poco soddisfacente e privo di qualsiasi appiglio che ne possa salvare almeno lo scopo di mero intrattenimento. Sì perché la confusione di stili e di linguaggi è un errore troppo frequente che è diventato un modo usuale di fare cinema per cercare di intercettare furbamente il plauso del pubblico che si illude di assistere alla “nuova” commedia italiana. Ma questo tipo di cinema è un’edulcorazione esageratamente diluita della proiezione della realtà e delle sue storture.

Il film, diviso in capitoli come si faceva negli anni sessanta e settanta, cerca di cristallizzare i comportamenti folli e incomprensibili che molte persone hanno se messe sotto pressione, soprattutto se si muovono in un ambito familiare. Ma la realizzazione risulta incompleta perché i due registi/sceneggiatori/attori/scrittori/comici/commediografi Leo e Bruno riempiono la sceneggiatura, anzi le sceneggiature, di retorica, banalità, stereotipi, battute strappa risatine, che massacrano un’idea originale interessante. La bravura di alcuni attori, tra cui Claudia Pandolfi, non basta a colmare il vuoto pneumatico che pervade la sceneggiatura. Ciò che Monicelli avrebbe detto con un’inquadratura asciutta e due battute crude e riprovevoli, qui viene detto con una stucchevole e dilatata grammatica molto semplificata per persone distratte che preferiscono ridacchiare piuttosto che angosciarsi, ridendo.

Un discorso a parte devo farlo per il capitolo in cui Fabrizio Bentivoglio interpreta un imprenditore veneto caduto in disgrazia e Giuseppe Battiston interpreta un suo ex dipendente che decide di rapire il suo datore di lavoro per cercare di prendersi la liquidazione che non ha mai ottenuto. I venticinque minuti circa dell’episodio sono scritti e realizzati in maniera magistrale. I due attori, che sembrano recitare sul palco di un teatro, trasmettono tutta la loro emozione ad un pubblico un po’ inebetito dalla visione del capitolo precedente con Leo, Bruno, Carpentieri e Foglietta che racchiudeva più retorica e noia che inquadrature. Nel capitolo “primo maggio” assistiamo ad una vera e propria commedia goldoniana, in cui anche il dialetto veneto diventa un elemento fondamentale della narrazione. Sentire le farneticazioni di Bentivoglio e le minacce di Battiston trasformano l’episodio in una meravigliosa e angosciante traversata nelle anime di chi non ha più nulla ed è disposto a tutto per gridare al mondo il proprio disagio. Il capitolo “primo maggio” diventa la colonna portante dell’intero film, ma non riesce comunque a salvarlo del tutto.

Edoardo Leo e Massimiliano Bruno dovrebbero, forse, osare di più ed abbandonare l’ossessiva e pericolosa voglia di far ridere il pubblico ad ogni costo. Dovrebbero ripartire dal secondo capitolo del loro film e riscrivere completamente il resto della pellicola. In quelle battute tra Bentivoglio e Battiston si può intravedere ciò che ha reso grandi autori come Muccino, Archibugi, Garrone, Moretti o Rovere.

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RIVISTO

PICCOLI EQUIVOCI, di Ricky Tognazzi (Italia 1989, 84 min.).

Un capolavoro grezzo scritto da Claudio Bigagli che diventa un diamante puro grazie alla regia fresca e giovane di Ricky Tognazzi. Una storia romana che diventa narrazione universale di un’intera generazione di artisti che aspetta il momento giusto.

Ma che in amore non riesce a trovare, e non troverà mai forse, la giusta commedia in cui immergersi. Gli attori sono tutti bravi e compongono insieme un’avventura corale unica che non ha eguali. Da rivedere, e rivedere, e rivedere…

minchella leo bruno – MALPENSA24