VISTO&RIVISTO Quattro giganti per una storia lenta e sussurrata

minchella scorsese visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

THE IRISHMAN, di Martin Scorsese (Stati Uniti 2019, 209 min.).

Dopo l’esplosivo e giovane “The Wolf of Wall Street” e l’intimistico e sussurrato “Silence”, il prolifico Martin Scorsese confeziona, dopo non poche difficoltà e continui ritardi, un film-riflessione sulla vecchiaia, cruda e fredda, e sulle reali dinamiche della più complessa e radicata industria criminale degli Stati Uniti: la mafia siciliana.

Il racconto, lungo e volutamente lento in diversi passaggi, ci mostra in maniera chiara e lineare le vicende di Frank Sheeran, un appesantito Robert De Niro, che quasi senza volerlo, né saperlo, si ritrova a far parte di una famiglia mafiosa, quella dei Bufalino, che opera ufficialmente nello sconfinato settore dei trasporti in Pennsylvania. Frank, onesto e fedele, si ritrova ad un certo punto della sua vita a ricoprire il difficile ruolo di “ponte” tra Jimmy Hoffa, il potente e temuto sindacalista dei camionisti americani, e la zona più oscura dell’America criminale degli anni cinquanta. Frank, umano e semplice, diventa amico e confidente di Hoffa che, pur non disdegnando appoggi poco chiari, si professa incorruttibile e giusto. In realtà, come Scorsese ci spiega con elementare ma efficace linea narrativa, i soldi del sindacato di Hoffa, pensioni e liquidazioni di migliaia di lavoratori americani, servivano spesso per dare vita alle attività i cui principali protagonisti erano esponenti di famiglie mafiose. Quando Hoffa, dopo un periodo di detenzione nelle carceri americane, decide di essere più intransigente verso questi prestiti poco chiari, la sua posizione diventa sempre più scomoda e delicata. E così Russell Bufalino, prima, e Frank Sheeran, poi, cercheranno in ogni modo di farlo ragionare: le famiglie che prendono i soldi “puliti” di Hoffa per le loro attività non staranno a guardare il vecchio sindacalista che chiude loro i rubinetti. Frank Sheeran, amico e allievo di Hoffa, tenterà fino all’ultimo di fargli cambiare idea, ma invano.

Oltre a Robert De Niro, Martin Scorsese chiama altri due giganti, Al Pacino e Joe Pesci, per dar vita ad una reale e cruda narrazione di come la vita, sfuggente e troppo breve, ci mette sempre, prima o poi, davanti a scelte difficili e non sempre indolori. Il film, che nasceva per il cinema, ha dovuto superare tappe complesse a causa degli alti costi di produzione. Solo Netflix, ad un certo punto, ha potuto sostenere il lievitare delle spese necessarie per i complessi effetti speciali che fossero in grado di ringiovanire De Niro e Pesci: i due, infatti, vengono ritratti in tre diversi periodi delle loro vite, e la parte in cui sono dei quarantenni è stata completamente ritoccata da articolate e costosissime tecniche computerizzate della Industrial Light and Magic dell’amico George Lucas. Diventando un prodotto Netflix, quindi, “The Irishman” è diventato un film del sempre più ricco catalogo del colosso americano.

Scorsese gira un film silenzioso e con pause prolungate e snervanti. Se racconti le vite di due anziani, devi usare un registro scarno e quasi sussurrato. Sono lontani i tempi di “Quei Bravi ragazzi” in cui il ritmo frenetico e il linguaggio “pre-pulp” erano i cardini centrali di una perfetta storia di mafia che toccava un periodo storico di circa trent’anni, a partire alla metà dagli anni cinquanta in poi. Qui assistiamo all’inesorabile scorrere del tempo che lascia le sue tracce sulla pelle dei protagonisti, e nell’anima di Frank che, a causa delle scelte che ha preso durante la sua vita, si ritroverà ben presto isolato dagli affetti più sinceri della sua famiglia biologica. Una cruda analisi, questa, sui reali effetti di una violenza, quella mafiosa, che non fa sconti a nessuno e che mette al centro della propria attività la fedeltà ad ogni costo. Al di là delle storie leggendarie e dei racconti iconografici, la mafia di questo bel film lascia sempre dietro di sé una interminabile scia di morte, dolori e rimpianti.

***

RIVISTO

QUEI BRAVI RAGAZZI, di Martin Scorsese (Stati Uniti 1990, 146 min.).

Tratto dal romanzo “Il Delitto Paga Bene” di Nicholas Pileggi, “Quei Bravi Ragazzi” rimane uno dei migliori prodotti del veterano Martin Scorsese che, qui, ci racconta le vicende personali e criminali dei tre amici fraterni James, Henry e Tommy, dal 1955 ai primi anni ottanta. I tre, interpretati da De Niro, Liotta e Pesci, attraversano epoche diverse in un’America che cambia pelle rapidamente e che, spesso, lascia poche scelte di sopravvivenza ai suoi cittadini. Dal punto di vista del regista, infatti, sembra che il crimine sia l’unica strada che possa garantire benessere e tranquillità. Proprio in quell’America che avrebbe dovuto dare una possibilità a chiunque, il crimine sembra essere stata l’unica industria che non ha mai conosciuto momenti di crisi o depressione.

Il film, originale e perfettamente montato, ci catapulta direttamente nelle vicende dei tre, anche grazie alla riuscitissima scelta della voce narrante di Ray Liotta, che ci accompagna per tutto il racconto, facendoci quasi sentire come il “quarto bravo ragazzo” del gruppo criminale. Scorsese confeziona un innovativo prodotto cinematografico, la cui cifra sta anche nelle dinamiche linguistiche e stilistiche scelte da Scorsese. Un film di quasi trent’anni che risulta ancora oggi fresco e contemporaneo. Assolutamente da riguardare.

minchella scorsese visto rivisto – MALPENSA24