VISTO&RIVISTO Se il coraggio è questione di vita o di morte

minchella il corriere

di Andrea Minchella

VISTO

IL CORRIERE – THE MULE di Clint Eastwood (The Mule, Stati Uniti 2018, 116 min)

Lo spettatore questa volta si trova davanti un dilemma non indifferente: se Clint Eastwood nei suoi ultimi film ha raccontato le gesta di eroi americani, attirandosi spesso critiche e disappunti, come ad esempio nel caso di “American Sniper”, in “The Mule” l’eroe americano non è chiaro se sia Colin Bates, l’ambizioso agente della DEA, o Earl Stone, il novantenne che diventa corriere di un cartello della droga messicano per fronteggiare un dissesto finanziario non previsto. In realtà il film racconta di un eroico criminale che per esigenze quasi vitali è costretto ad affidarsi a dei fuorilegge messicani pur rimanendo fedele alla sua personale lealtà e alla sua granitica correttezza umana.

Earl, interpretato da un Clint Eastwood affaticato ma pur sempre centrato, vuole esser utile alla sua comunità, anche facendo il criminale, tanto da reinvestire proprio in quella piccola cerchia di amici i profitti illeciti della sua nuova attività. Quella comunità che Earl ha vissuto più della sua famiglia, ormai sgretolata e lontana dalla sua esistenza, sembra essere l’unica tranquilla dimora di un asciutto e apparentemente insensibile vecchio reduce americano.

Molte le similitudini con il leggendario “Gran Torino”: la storia anche qui si sviluppa in una provincia americana che poco ha a che fare con i lustri delle grandi città; anche Earl, come Walt Kowalski, è un reduce di un conflitto militare di cui i giovani sembrano non avere memoria; tra il protagonista e la sua famiglia esiste solamente una cronica e circolare incomunicabilità; la solitudine del protagonista che sottolinea
quanto l’essere umano, nelle sue scelte, nella sua vita, sia fondamentalmente solo. Dunque è di primaria importanza saper cogliere, durante la nostra esistenza, quei richiami che arrivano da altri esseri umani, soprattutto se fanno parte della nostra famiglia: e così Earl, pur di mettere a rischio la sua vita che comunque ormai si appresta a vivere le sue ultime vicende, decide di ascoltare questo richiamo e di
sorprendere la sua ex moglie per l’ultima volta. Questa è forse la sequenza che vale l’intero film. La capacità poetica di un vecchio Eastwood riesce a cristallizzare una scena sorprendentemente evocativa.

Questo film va visto perché potrebbe essere davvero l’ultima interpretazione di un Clint Eastwood sempre più interessato al racconto più tosto che alla recitazione. Da segnalare un bravo ma non superlativo Bradley Cooper e un troppo appesantito ma pur sempre efficace Andy Garcia

RIVISTO

GRAN TORINO di Clint Eastwood (Stati Uniti 2008, 116 min).

Un film perfetto. Una storia evocativa che diventa quasi mitica. Un Clint Eastwood che come un buon Barolo riesce a dare risultati oltre ogni previsione anche parecchi anni dopo la sua data di nascita. “Gran Torino”racconta di un uomo tranquillo, per lo meno all’apparenza, che ognuno di noi vorrebbe come vicino di casa.

O magari come padre. Perché in un mondo in cui l’incomunicabilità regna sovrana e sovranista, la capacità di usare poche parole per esprimere concetti chiari e profondi sembra essere appannaggio solo di una certa saggezza ormai rara e preziosa.

La storia semplice di un vecchio solo e spigoloso che inaspettatamente stringe un profondo rapporto con una famiglia di asiatici che vive vicino alla sua modesta casa, diventa spunto per raccontare dell’esistenza umana in una società sorda, violenta e troppo frenetica.

La capacità di Eastwood di dirigere ed interpretare nello stesso tempo un personaggio che nella sua normalità assume caratteri del vero eroe moderno, mette questo film in un livello in cui il racconto diventa quasi una terapeutica fiaba universale. Tutti si sono riconosciuti nel giovane Thao Vang Lor che, in un’epoca in cui la figura del padre sembra essere evaporata per sempre, ritrova in Walt un esempio paterno da seguire per crescere e diventare adulto in un mondo popolato troppo spesso da tanti Telemaco ma da pochi Ulisse.

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