VISTO&RIVISTO Un piatto di patatine fritte ci salverà la vita

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di Andrea Minchella

VISTO

TROPPA GRAZIA, di Gianni Zanasi (Italia 2018, 110 min.).

Zanasi aveva già dato prova di una certa sensibilità e di una non scontata bravura narrativa con l’originale “Non Pensarci”, in cui i rapporti umani all’interno della famiglia erano i veri protagonisti dell’intensa pellicola del 2008.

Con “Troppa Grazia” il regista emiliano realizza un bellissimo ed articolato viaggio dentro la religiosità laica che ognuno di noi, al di là di credere o no ad un’entità superiore, possiede e nutre durante la propria esistenza.

Qui incontriamo Lucia, una strabiliante e sempre centrata Alba Rohrwacher, che conduce una vita tranquilla e modesta, tra un fidanzato inconcludente, un Germano convincente come sempre, una figlia troppo matura ed un lavoro forse molto stretto per la sua anima libera e poetica. Per la dolce e quasi evanescente Lucia la vita si complica quando, nel bel mezzo di uno dei suoi tanti rilevamenti catastali, inizia a vedere una donna che arriva dal passato e che destabilizza qualsiasi ragionamento logico.

Lucia assiste ad una vera e propria apparizione di Maria. Incomincia così una narrazione iconografica all’interno della sua coscienza, che la metterà presto in seria difficoltà nel suo relazionarsi con il mondo esterno. Presa per pazza da quasi tutti quelli che la circondano, la tenace e coraggiosa Lucia decide, dopo una prima fase di smarrimento, di seguire ed ascoltare la sua “nuova” compagna di viaggio. Questa particolare visione sarà uno spunto importante per poter riequilibrare tutte le sue passioni, i suoi sentimenti e i suoi desideri. La religiosità che scaturisce da questo incontro le darà la possibilità di guardarsi dentro e di cogliere ciò che fino a quel momento era restato nascosto nelle zone d’ombra della sua anima fragile.

Zanasi riesce in maniera evocativa e fortemente simbolica a raccontarci una moderna fiaba di riscatto, in cui l’incontro con l’ignoto diventa una preziosa opportunità per guardarsi dentro e per migliorarsi.

La pellicola, equilibrata e ben ritmata, ci fornisce una serie di pregiati e interessanti simboli che rendono la narrazione intensa e fortemente iconografica. Dalla scelta del nome Lucia della protagonista, all’acqua che ad un certo punto invade le strade della città; dalla “natività” al contrario con un Germano “Giuseppe” ed una Rohrwacher “Maria”, alla condivisione quasi religiosa di un piatto di patatine fritte tra Lucia, la figlia Rosa e il ritrovato Arturo, che unisce i tre in un legame forte e indissolubile. Zanasi dà un significato preciso ad ogni inquadratura, ad ogni oggetto o persona che entrano nella storia. Zanasi, come sempre fa per le sue produzioni, non lascia nulla al caso, e realizza un’opera egregiamente pensata e scritta, e minuziosamente costruita.

Ottimo il cast che vede, per la terza volta in un suo film, un Giuseppe Battiston perfettamente calato nei panni del cinico e immorale costruttore dell’opera architettonica inutile e barocca, l’Onda, intorno alla quale si svolge gran parte della vicenda.

Come ci ha sempre abituati il regista emiliano, anche la colonna sonora interpreta un ruolo primario all’interno della narrazione della storia.

Insomma, questo “Troppa Grazia” riesce a colpirci nel cuore, anche se il regista sceglie e mantiene un tono ed un linguaggio leggero che rende questa commedia comunque un intenso viaggio introspettivo all’interno di un’anima apparentemente debole ma in realtà forte e piena di dolcezza.

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RIVISTO

LA MESSA E’FINITA, di Nanni Moretti (Italia 1985, 94 min.).

La sequenza iniziale interamente girata sull’isola magica e misteriosa di Ventotene rimane una delle più riuscite e profonde immagini create dal regista romano. In questo commovente viaggio incontriamo don Giulio, un giovane sacerdote che, dopo alcuni anni fuori dalla sua città natale, ritorna a Roma dove gli viene assegnata una piccola parrocchia in periferia. Questa sarà l’occasione per ritrovare i suoi vecchi amici e la sua famiglia. Pur incontrando una realtà totalmente diversa da come l’aveva lasciata, don Giulio, un penetrante e centrato Nanni Moretti, cercherà fino all’ultimo di fare breccia nelle vite dissipate e impazzite di tutti quelli che lo circondano. Ma ogni tentativo è vano. Anzi, proprio la sua connotazione religiosa sembra rendere ogni tentativo inutile e superfluo. Anche la fede stessa di don Giulio sarà messa più volte in dubbio. La vita, dopo tutto, è più difficile e piena di zone oscure di quanto certe narrazioni, anche provenienti dal mondo Cristiano, vogliono invece raccontarci. Solo l’esilio in terre lontane e davvero bisognose potrebbero ridare a don Giulio una nuova linfa vitale e spirituale.

In questo suo quinto film Nanni Moretti ci regala uno spaccato intenso e intimista dell’emancipazione, non sempre facile, dalla famiglia e dalle nostre origini. Questo racconto, che come “Bianca” si distacca dalla connotazione estremamente politica dei suoi primi tre film, attraversa le zone più nascoste e segrete di ognuno di noi, esplorando le difficoltà degli uomini di vivere vite convenzionali, a discapito delle pulsioni e dei desideri più profondi che invece mettono regolarmente a rischio la tranquillità fragile e apparente delle nostre esistenze.

Un’opera d’arte che non invecchia e che può anzi dare sempre nuovi ed aggiornati spunti di riflessione sulla nostra condizione umana, soprattutto in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo ora.

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