VISTO&RIVISTO Yellowstone: i cow boys sono una cosa seria

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di Andrea Minchella

VISTO

YELLOWSTONE, di Taylor Sheridan (Stati Uniti 2018- in produzione, 42/92 min. x 39, Paramout Network, Sky Atlantic).

L’offerta è ormai vasta, troppo. Scegliere un prodotto di qualità è diventata un’impresa sempre più difficile. “Yellowstone”, arrivata alla quarta stagione, in onda su Sky Atlantic, è cresciuta sempre più diventando un appuntamento atteso e una produzione di ottima fattura. Sheridan, regista e creatore del “format”, è riuscito a prendere un mondo, quello del “West”, spesso raccontato nel cinema e in alcune produzioni seriali, non raramente con risultati mediocri, e lo ha reso interessante, attuale e violentemente vivace. Gli Stati Uniti, dopo tutto, non sono solo le grandi città modaiole e frenetiche o le aree tecnologiche della “Silicon Valley”. Per gran parte del suo territorio, l’America si sviluppa in distese immense dove pascoli, fattorie e aziende agricole la fanno da padrona.

Anche oggi l’economia predominante è quella legata all’agricoltura e al bestiame. Stati come il Montana o il Texas fondano la loro fortuna sulle imprese rurali e sulle famiglie che gestiscono gli ingenti patrimoni che provengono da quelle imprese. Intere comunità di “cow boys” possono, con il loro peso sociale ed economico, spostare in maniera significativa l’elezione di un presidente. L’influenza e il potere che certe famiglie di “cow boys” esercitano sulla vita sociale degli Stati Uniti è più grande di quanto noi europei possiamo immaginare. Qui nel vecchio continente l’agricoltura viene vista come qualcosa di poco redditizio, se paragonata all’industria o all’economia manifatturiera. Negli Stati Uniti, invece, l’agricoltura e il bestiame, con annessi gli sport del rodeo e la tradizione storico-culturale del “cow boy”, sono una vera e propria industria i cui profitti rendono le famiglie competitive e spesso in contrapposizione tra loro.

Questo “humus” si presta perfettamente alla vicenda dei Dutton che sono i proprietari dello Yellowstone, un gigantesco complesso di fattorie che sorge nell’anacronistico stato del Montana. John Dutton, interpretato dal cow boy per eccellenza Kevin Costner, è alle prese con parecchie difficoltà e insidiosi ostacoli che minano l’integrità e la solidità della sua azienda e della sua famiglia. L’insistente interesse di alcune multinazionali verso le sue terre per costruire “resort” e strutture di lusso, poi, alzano di molto il livello della tensione, già elevato, dell’intera narrazione.  Questi elementi trasformano la serie in una produzione originale ed avvincente perché ci mostra un mondo spesso stereotipato rendendolo non meno affascinante del più attraente e intricato mondo della moda, della finanza o dei “media”.

L’ambiente rurale americano è ricco, e per questo motivo gli interessi che gli ruotano attorno sono tanti da spingere una famiglia alla vendetta più spietata, pur di salvare un terreno o un componente della propria stirpe. Sheridan aggiunge alla vicenda un ritmo ed una scrittura freschi e avvolgenti, tanto da far sentire lo spettatore come un figlio del duro ma solido John Dutton. Alla famiglia Dutton perdoniamo tutto, o quasi. Le vendette e le ritorsioni sembrano le uniche armi che in un universo tanto complesso quanto insidioso possono essere efficaci per la sopravvivenza. I figli di Dutton rappresentano ogni tipologia di umanità che può racchiudersi in un’unica persona. Beth è tenace, dura e follemente innamorata del padre John. Kayce è fragile e pentito di scelte sbagliate che lo hanno portato lontano dalla famiglia. Jamie è rancoroso e vendicativo perché, in fondo, non si sente accettato dalla sua famiglia. A completare il quadro pieno e dettagliato di caratteri, troviamo Rip che sembra incarnare la coscienza e l’anima più nascosta dell’intera dinastia Dutton.

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RIVISTO

BALLA COI LUPI, di Kevin Costner (Dance with Wolves, Stati Uniti 1990, 181/224/236 min.).

Epico. Unico. Un sogno lungo quasi tre ore. Un viaggio appassionante e necessario nelle viscere più nascoste dell’America “antica”. Un ritratto schietto e dettagliato per capire un po’ meglio una delle società moderne più contraddittorie ed enigmatiche di sempre. Kevin Costner a soli trentacinque anni realizza una delle opere cinematografiche più gigantesche e simboliche del cinema moderno, poco prima dell’avvento impetuoso della tecnologia computerizzata che permette un apporto virtuale di comparse e paesaggi.

Costner ricostruisce tutto nei minimi particolari, usa centinaia di comparse e realizza la sequenza dei bufali con l’utilizzo di centinaia di animali, qualche robot e un’infinita vallata che la trasforma in una delle scene più iconografiche della storia del cinema moderno. Un capolavoro che non invecchia mai. Da rivedere.

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