Allarme violenza sulle donne: al centro Icore di Gorla Maggiore raddoppiano i casi

Da sinistra Cristina Andreetto e Luciana Lucietto

GORLA MAGGIORE – Lo scorso Ferragosto ha segnato per l’opinione pubblica internazionale uno spartiacque rilevante: con la presa di Kabul da parte dei Talebani in tutto il mondo si sono moltiplicate le preoccupazioni per le donne afghane e i loro diritti. Ma, come spesso succede in Occidente, tendiamo a guardare lontano, dimenticandoci di quello che accade nel giardino di casa nostra. A lanciare un preoccupante allarme per la condizione delle donne proprio nella provincia di Varese sono le volontarie del centro antiviolenza Icore di Gorla Maggiore. «Con il lockdown le richieste di aiuto pervenuteci sono raddoppiate e le donne vittime sono quasi tutte italiane, con una condizione sociale dignitosa e sempre più giovani». A questo punto l’associazione cerca una sede più grande e da settembre aprirà un nuovo sportello anche a Tradate.

Piccola realtà, grandi responsabilità

A parlare è Luciana Lucietto, presidentessa dell’associazione Icore, che ha sede a Gorla Maggiore e che dal 2010 offre sostegno e assistenza alle donne che hanno subito violenza sessuale, maltrattamento e stalking. Il centro fa parte della Rete Antiviolenza istituzionale del Comune di Varese ed è anche riconosciuto da Regione Lombardia, dato che conta circa 20 volontarie e collabora con 5 avvocati, 3 psicologhe e alcune mediatrici culturali. «Se riusciamo a mantenere questa sede a Gorla – specifica però Lucietto – è grazie ai finanziamenti dell’Azienda Speciale Consortile Medio Olona perché è sempre più difficile far quadrare i conti, soprattutto per realtà piccole come le nostre, formate prevalentemente da volontari».

Numeri da paura

Ciononostante, nell’ultimo anno, le richieste di aiuto sono aumentate sempre di più e il peso, psicologico, ma anche economico e professionale, sulle spalle delle volontarie si è moltiplicato. «O meglio è raddoppiato, proprio come il numero delle donne che ora abbiamo in carico. Un aumento che ci ha lasciate davvero colpite e che apre una nuova necessità nella nostra realtà: una sede più grande». Infatti, se prima del lockdown il centro Icore aveva in carico circa 50 persone, alla fine del 2020 il numero aveva già raggiunto quota 97 e, a dati appena aggiornati, ora ce ne sono 121.

«La convivenza forzata con mariti, compagni e fidanzati violenti ha ovviamente messo le donne in una situazione di grande difficoltà, senza nemmeno un attimo di tregua, intrappolate in casa loro e quello che purtroppo abbiamo registrato è che i maltrattamenti sono sempre più efferati», racconta Cristina Andreetto, un’operatrice del centro. Una crudeltà sempre più spietata, esacerbata dall’abuso di alcol, droga, ma anche da dipendenze di vario genere, come la ludopatia. «A differenza dello stereotipo comune, la maggior parte delle nostre assistite è italiana, non straniera, e molte hanno lavori e vite dignitose». Eppure la violenza maschile si insinua anche dietro le più insospettabili facciate.

Passo indietro

Controllo ossessivo, stalking, sempre più difficile da provare davanti a un giudice e inasprito dall’introduzione dei social media e del revenge porn, sudditanza psicologica e violenze fisiche, anche sulle minorenni. «Ci duole ammettere – continuano le volontarie – che stiamo davvero assistendo a un passo indietro a livello culturale. La cultura di chi non accetta il no, di quegli uomini che non contemplano la possibilità che la propria compagna abbia un’indipendenza e che voglia fare delle scelte autonome». E’ il caso di una giovane diciottenne straniera che ha rischiato di essere letteralmente “rispedita” dal proprio marito nel paese di origine contro la sua volontà e mentre era incinta.

Il vuoto legale

«Noi interveniamo ogni qual volta veniamo contattate, quasi sempre in stretta collaborazione con la Polizia locale e i Servizi sociali che spesso hanno le mani legate e lo facciamo rischiando la nostra incolumità, dato che abbiamo a che fare anche con soggetti con problemi mentali, nonché possibili denunce, soprattutto quando si tratta di minori, dato che la legislazione in merito lascia dei veri e propri buchi». Quello che la presidente sottolinea, infatti, è la mancanza di leggi precise e univoche su ciò che si può e non si può fare e che tutelino tanto le donne, quanto chi le aiuta. Il risultato? Le operatrici si trovano spesso nella difficile situazione di dover portare via dalle case, che non sono più posti sicuri, i minori, rischiando però ripercussioni legali da parte dei padri.

Sudore, frustrazioni, ma si va avanti

«Durante il lockdown, abbiamo sempre avuto la reperibilità 24 ore su 24 e in più di un caso abbiamo anche dovuto portare delle donne in una casa rifugio», racconta Lucietto. Si tratta appunto di appartamenti o strutture il cui indirizzo rimane segreto e che servono da “asilo” per chi è in situazioni drammatiche. «Ovviamente tutto ciò gioca un forte peso psicologico sulle donne: dopo mesi, se non anni, di maltrattamenti e violenze trovano finalmente il coraggio di denunciare, ma si vedono costrette a vivere nascoste e isolate per molto tempo, a raccontare la loro storia, riaprendo ferite profonde, ad affrontare un iter legislativo e giudiziario non indifferente. E purtroppo ci è anche capitato di perdere la causa e vedere un giudice sminuire le denunce sostenendo che si trattasse solo di lesioni occasionali. E’ difficile ripartire dopo una frustrazione del genere».

Proprio per questo motivo l’associazione si occupa della prima accoglienza, per capire quale sia la storia di ogni singola persona, instaurare con lei un rapporto di fiducia e poi metterla in contatto con i professionisti che possano aiutarla. «Ma ora abbiamo bisogno di una sede più grande e, dato il sorprendente (e spaventoso) numero di richieste che ci arrivano, abbiamo deciso di aprire un nuovo sportello a Tradate che è meglio collegata dai mezzi pubblici rispetto a Gorla». L’ufficio, che si trova in una sede Comunale, sarà attivo due giorni alla settimana, il lunedì e giovedì mattina, grazie a dei finanziamenti di Regione Lombardia, che però lo sosterranno fino a dicembre.

Una marcia per rompere il silenzio

Inoltre, dopo il blocco dello scorso anno, le volontarie sono riuscite a organizzare la camminata del 5 settembre: “Io rispetto, una marcia per rompere il silenzio” che partirà alle 16 dall’approdo dei Calimali a Fagnano Olona e farà poi un giro in Valle, con apericena e intrattenimento per aumentare la consapevolezza sul tema. «Visti i dati degli ultimi maltrattamenti vogliamo puntare sui giovani: da un lato per ricordare alle ragazze che non bisogna mai accettare un amore che maltratta e che chiedere aiuto, in particolare chiamando il 1522 è il modo migliore per liberarsi dall’incubo che vivono e dall’altro per educare i ragazzi al rispetto del genere femminile e della sua indipendenza».

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