Precario per 30 anni prima della cattedra universitaria. Ed è un noto avvocato

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BUSTO ARSIZIO – La consapevolezza di vivere in uno strano Paese è scontata, al punto da apparire un’ovvietà. Un po’meno ovvie sono le sorprese che riservano i contesti strani. Come il fatto che un avvocato di riconosciute fama e professionalità, specialmente nel campo forense degli affari, debba aspettare trent’anni prima di ottenere una cattedra universitaria definitiva. Tre decenni da precario alla Cattolica di Milano a insegnare diritto commerciale, un corso frequentato annualmente da 400 studenti, poi, finalmente, l’abilitazione scientifica nazionale arrivata dopo l’ennesima partecipazione ad un regolare concorso. Succede a Alessandro Munari, 59 anni, milanese d’adozione ma bustocco d’origine, legatissimo a Busto Arsizio tanto da presiedere il B.A. Film Festival e essere al vertice dell’istituto cinematografico “Michelangelo Antonioni”. Insomma, un personaggio, che ha scritto libri e decine di articoli di settore, appassionato di musica e di chitarra classica. Celebri i duetti con un suo vicino di casa al liuto rinascimentale, Umberto Eco. Senza dimenticare l’incarico di Munari nel Cda de Il Giornale, il foglio di casa Berlusconi.

Percorso ad ostacoli

Eppure, per uno come lui, il percorso accademico è stato irto di ostacoli. I motivi li spiega in un’intervista a Stefano Zurlo, appunto pubblicata sul quotidiano della milanese via Negri. Articolo ripreso da numerose agenzie. Testuale: “La mia è stata una bellissima carriera forense, piena di soddisfazioni. In parallelo venivo implacabilmente bocciato, un concorso dopo l’altro. Partivo favorito, poi c’era sempre qualche allievo da sistemare, qualche poltrona da assegnare a questo o a quello negli equilibri universitari, qualche allievo di qualcuno che spuntava all’orizzonte, come un Ufo, e doveva avere la precedenza. Ci sono rimasto male le prime volte. Non capivo. Poi ci ho fatto l’abitudine”.

No alle raccomandazioni

Eppure, negli “strani Paesi” di cui sopra, uno così avrebbe potuto aprirsi la strada, abbattendo i muri. Riecco Munari: “Io non appartengo a camarille, cordate o conventicole, sono insofferente alle raccomandazioni e non ho padrini. E questo, vorrei precisare, non significa che io sia una sorta di cavallo pazzo o di studioso un po’naif o, peggio, un iconoclasta antisistema. Semplicemente, ho sempre coltivato assieme alla ricerca, l’indipendenza. Ho sempre fatto di testa mia e intanto ho sviluppato l’attività professionale”.
Il succo di questa vicenda è un messaggio inequivocabile, soprattutto per chi pensa che basti il merito o, ancora, il talento per trovare porte aperte. Messaggio negativissimo per i più giovani alla ricerca di stabilità professionale nel “pubblico”. Dove, evidentemente, dominano ancora certe regole, impossibili da soppiantare. Anche da persone la cui storia non ammette inciampi, dai curriculum prestigiosi e insindacabili, obbligate a fare i conti, soprattutto nel mondo scolastico e universitario, con sistemi quasi borbonici. Ma forse, negli “strani Paesi”, quel quasi è persino di troppo. La chiosa del diretto interessato? “Che tristezza”.

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