Busto e il disagio giovanile: un problema di educazione

busto bottini disagio giovanile

di Gian Franco Bottini

Il fatto è noto. Due ragazzini sui quindici anni si buttano in un mare agitato e vanno in difficoltà; tre agenti della polizia costiera si gettano a loro volta, lottano con le onde, tirano fuori i due ragazzi ma uno degli agenti, padre di due bambini, purtroppo viene travolto dai marosi e ci lascia la vita. Probabilmente nei due ragazzi lui ha visto i suoi figli, ma la sua generosità ha pagato un prezzo troppo alto, più alto ancora della nostra stima e del suo coraggio.

Qualche giorno dopo uno dei due ragazzini è esploso sui social in una piccata rimostranza verso tutti coloro che,a suo dire, falsamente insistevano nel dire che un uomo era generosamente morto per salvare lui e il suo amico mentre invece lui, il superuomo, “ si era salvato da solo”. Non vogliamo nemmeno entrare nel merito della dichiarazione, scusandola con il probabile stress emotivo del ragazzo, ma non possiamo negare di essere tentati dal riscontare in essa quel po’ di arroganza , insensibilità, strafottenza e ribellismo che riscontriamo negli innumerevoli e disdicevoli fatti di vita urbana, con protagonisti adolescenti o poco più, che le cronache ci consegnano quasi quotidianamente.

busto bottini disagio giovsnile
Gian Franco Bottini

Non abbiamo certo la presunzione di individuare le fonti del problema ma non possiamo esimerci dal riscontare che non si può più parlare di fatti isolati perché sarebbe un voler sfuggire il problema. Episodi così ripetuti e diffusi ci dicono chiaramente che siamo di fronte ad un problema sociale rispetto al quale la netta impressione è di una totale impreparazione nel trovare i rimedi di contrasto. Leggi e punizioni possono essere giuste conseguenze di un comportamento scorretto ma, a quanto pare, non certo il rimedio o il deterrente perché gli stessi comportamenti non si debbano ripetere.

C’è chi sostiene che il fenomeno si è particolarmente evidenziato con la chiusura del lockdown e la cosa ha una sua credibilità se si pensa che una gioventù “ingabbiata” per oltre due mesi è come una bottiglia di spumante agitata, che quando il tappo salta pare di essere sul podio di F1. Una ipotesi accettabile, ma si tratta pur sempre di una semplice attenuante per dei comportamenti che paiono proprio diventati una usualità.

E’ un fatto di “ educazione” al rispetto dei valori e delle gerarchie sociali, una “educazione” che si dovrebbe formare nella scuola e nella famiglia, due entità che stanno chiaramente perdendo l’atavica e naturale sfida che, fin dal tempo dei figli di Adamo ed Eva, i giovani hanno sempre ingaggiato per scardinare il “sistema”. Una sfida generazionale destinata a non avere né vinti né vincitori ma nel corso della quale i livelli socialmente superiori, genitori o insegnanti che siano, hanno il dovere di forgiare nei giovani un carattere in grado di accettare l’importanza delle regole necessarie per sostenere il “sistema” e, crescendo, di ereditare il ruolo e, a loro volta, le responsabilità dello stesso. Lo chiamano “disagio giovanile” ma se le nostre semplici riflessioni hanno un fondamento, se famiglia e scuola non escono dal loro stato di “ accondiscendente confronto” con i giovani, ci troveremo ben presto ad affrontare il più vasto “ disagio” di un sistema sociale che rischia di non reggere più.

Intanto nelle nostre città gli episodi si ripetono; anche in Busto Arsizio dove la cronaca ci sollecita una particolare osservazione. Moltissimi dei ragazzi coinvolti nelle “bravate del sabato sera”, oseremmo dire la maggioranza, vengono da aree anche non vicinissime (basta osservare i flussi dalle stazioni al sabato sera) , quasi ci fosse un tacito accordo sotterraneo che identifica la nostra città quale luogo deputato ad ospitare il “casino”. Potremmo esagerare ma riteniamo opportuno riflettere seriamente su questo aspetto, perché se ciò fosse significa che a Busto ci sono luoghi di incontro, spazi e circostanze favorevoli ad alimentare tale scelta e non sarebbe difficile individuarli per intervenire con mano davvero pesante per chiuderli, presidiarli e, comunque, per “infastidire” sia i diversi protagonisti sia chi, di alcuni di essi, dovrebbe avere la responsabilità di curarne i comportamenti. Si tratterebbe unicamente di una autodifesa che una comunità ha il dovere di attuare, ben sapendo che, così facendo, il problema verrebbe spostato altrove ma non risolto. Nella scuola e nella famiglia deve essere cercata la chiave per una non facile soluzione.

busto bottini disagio giovanile – MALPENSA24