Busto cresce anche grazie alla Cultura. Maffioli: «Altro che una città di provincia»

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Manuela Maffioli e gli imprenditori di Busto sponsor della mostra di Fiber art

BUSTO ARSIZIO – Risveglio culturale a Busto Arsizio. Non c’è dubbio, parlano i fatti: le mostre, gli appuntamenti musicali, i teatri, le proposte letterarie, il festival cinematografico e tutto quanto gira attorno alla cultura alta. Regista di questo ritrovato fermento, che coinvolge la città, è Manuela Maffioli, l’assessore delegato a seguire l’importante settore.

Oltre 1.400 ingressi, visitatori da diverse città della Lombardia, da altre regioni, anche dalla Svizzera. La mostra di Maria Lai e Franca Sonnino chiude e lascia Busto. Assessore Maffioli, con quale bilancio?
«Direi decisamente positivo. I numeri non erano l’obiettivo principale, ma hanno comunque premiato, superando anche il già lusinghiero risultato di Miniartextil dello scorso anno. La sfida era riportare la Fiber Art in città senza che fosse più una novità, farlo con un’artista complessa come Maria Lai e farlo introducendo, per la prima volta, un biglietto. Sfida vinta, mi sento di dire».

Busto si scopre attratta dalla cultura?
«Credo che l’interesse possa essere indotto, puntando sull’offerta, diversificata e di qualità. L’auspicio è che si crei in città un diffuso desiderio di cultura: desiderio significa tensione verso qualcosa, come evoca lo stesso termine latino, de-sidero, che indica la lontananza dalle stelle. E quando si desidera qualcosa e lo si trova, la fruizione è attiva, partecipe. Una sorta di virtuoso meccanismo circolare: l’offerta che stimola la domanda, che genera nuova offerta. In questo movimento, intanto, ci arricchiamo, cresciamo, coltiviamo menti e coscienze. Ma non solo».

Cos’altro?
«L’economia del territorio. È una battaglia da non abbandonare, quella di considerare la cultura come volano, motore di sviluppo. Investire in cultura non è un vuoto a perdere, significa investire nel territorio. La cultura ha un costo, non è un mistero. E gli enti pubblici, a maggior ragione quelli locali, non sono più in grado di farsene carico da soli. Ma la cultura restituisce ciò che riceve e non solo in senso emozionale».

Secondo lei la città è pronta a recepire questo messaggio?
«Ci vuole tempo, ma qualcosa comincia a muoversi e in questo la delega a Commercio, Industria e Artigianato, che è in capo alla sottoscritta, è certamente utile. Con i commercianti e gli imprenditori parliamo anche di questo, in un’ottica ampia e il più possibile lungimirante. Con molti di loro la collaborazione è già in atto e ha consentito di realizzare eventi di elevata qualità in città. Mecenati, sponsor, supporter: come li si chiami, sono certamente ‘illuminati’ che dimostrano di avere a cuore la città, oltre che la cultura. Fare rete non è e non deve essere uno slogan, ma un metodo concreto di lavoro: tra associazioni, e in questo la formula dei ‘Tavoli’ si sta rivelando vincente, tra pubblico e privato, e tra istituzioni, in una logica sovracomunale che privilegi la dimensione territoriale».

A proposito di offerta culturale, difficile non sapere cosa fare a Busto.
«È così. Durante la mostra al Museo del Tessile, c’è stato un eccelso calendario di concerti nell’ambito di BAClassica, con artisti che hanno inserito Busto come tappa di tournée internazionali. A breve torna il Festival fotografico e a fine marzo il Baff, presentato a settembre nientemeno che al Festival del cinema di Venezia. Poi un nuovo appuntamento con la Fiber Art e altre iniziative in fase di elaborazione. Stiamo facendo anche un gran lavoro per valorizzare i ‘luoghi’ della cultura, le domus: i teatri, i musei, la biblioteca, le sale. La cultura ha anche una sua materialità: ha suoni, colori, odori. I contenitori non devono essere avulsi dai loro contenuti».

Eppure dall’esterno, dal pubblico come da certe testate nazionali, Busto è ancora percepita come una “cittadina di provincia”. Sarà mai possibile un vero salto di qualità?
«Il salto di qualità è in atto e non solo da oggi: lo è nei contenuti, con le tante eccellenze che stiamo mettendo nelle condizioni di esprimersi al meglio. Ma è vero che paghiamo lo scotto di un pregiudizio diffuso, nonostante il primato di essere la quinta città della Lombardia. Essere una città di provincia non è di per sè un limite, ci mancherebbe. Io penso anzi che il vero provincialismo sia il rifiuto della dimensione locale, in nome di una presunta grandeur collocata sempre altrove. La formula che stiamo adottando, quella “glocal” è corretta: elevarsi e aprirsi al mondo nella serena consapevolezza della propria dimensione, della propria identità. Vedremo se il tempo, prima o poi, ci darà ragione di questi sforzi».

Gli ultimi episodi di vandalismo in città hanno messo in luce un possibile “vuoto educativo” tra gli adolescenti. La cultura può aiutare a colmarlo?
«Intanto manterrei la lucidità sulle dimensioni del fenomeno, che è certamente deprecabile, ma fortunatamente circoscritto nei numeri. Per alcuni giovani che devastano in preda all’alcool, ce ne sono moltissimi impegnati nel sociale, nel volontariato, che suonano uno strumento, che cantano, che recitano, che leggono, che scrivono. Detto questo, il delicato compito dell’educazione è certamente in capo a più soggetti: alla famiglia innanzitutto, alla scuola, a realtà come quelle oratoriane, per esempio, e alle istituzioni. Noi concorriamo con più assessorati coinvolti, dall’Educazione e Sport, all’Inclusione sociale, dagli Eventi alla Cultura. Non c’è evento culturale che non veda coinvolti bambini e ragazzi: attività collaterali, laboratori, programmazioni dedicate. Per non parlare delle iniziative di introduzione alla lettura, in biblioteca, e all’arte, con la didattica ai musei. Ci sono poi progetti come quello di pochi giorni fa, Opera Domani, che ha fatto scoprire l’opera a 1500 bambini. Un investimento sul futuro».

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