Busto e Gallarate una sola città? Utile (inutile) provocazione

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Andrea Cassani, Emanuele Antonelli: due sindaci, una sola città. Per ora soltanto una suggestione

di Gian Franco Bottini

Diceva uno dei nostri amici Umarell che sentendo parlare dell’idea di fare di Busto e Gallarate un’unica città, a lui, interista sfegatato, era venuta l”orticaria”, come se gli avessero proposto una fusione fra Milan e Inter. Ironie da bar ma che nascono da radicati sentimenti di appartenenza, ai quali non si può sfuggire perché, alla fin fine, rischiano di essere determinanti anche in questioni ben più importanti di due squadre di calcio.

Effettivamente una idea del genere, buttata lì con motivazioni generiche o non da tutti facilmente comprensibili, può solo creare delle reazioni emozionali. Lo si chiama “campanilismo” e se ne parla spesso in termini deteriori , come si trattasse sempre di un becero e retrogrado sentimento, nemico di sviluppo e di progresso o perlomeno di  adeguamento delle cose allo scorrere del tempo. E anche se spesso questo aspetto è innegabilmente presente, conviene comunque essere sempre equilibrati nei giudizi perché, riflettendoci con attenzione, non è difficile considerare il “campanile” un valore da preservare o, perlomeno, da non svillaneggiare.

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Gian Franco Bottini

Questo vale in particolare per questi decenni nei quali è in corso uno di quei travasi culturali dei quali è piena la storia dell’umanità. Un solido attaccamento a questo sentimento di appartenenza, se interpretato senza preconcette chiusure, potrebbe essere molto utile per tenere saldamente in pugno l’ago della bilancia da parte di chi integra, nella odierna ineludibile sfida dell’integrazione.

Non si può  negare però che il “campanile” può assumere diverse sfumature a seconda della visione di chi interpreta un fatto. Nel caso di questa ipotetica unione di città c’è da giurare che l’atteggiamento dei bustocchi sarebbe più morbido e possibilista (siamo i più grandi, quindi…!)) rispetto a quanto più ruvido sarebbe da parte dei gallaratesi (proprio per il timore contrario.) La vicenda dell’”ospedale unico” ci insegna qualcosa!

Fatte queste premesse, da non sottovalutare, e ritornando sull’ipotesi di fare di Busto e Gallarate un’unica città, ci si potrebbe chiedere perché, per storia ed  evidente conurbazione, non potrebbero far parte del progetto anche Legnano e soprattutto Castellanza il cui territorio è già sensibilmente intrecciato  con quello di Busto (stadio, stazione ferroviaria, ITIS, ex Mostra del Tessile). E altre più piccole città del territorio che a Busto o Gallarate sono tradizionalmente legate?

Una provocazione questa, come del resto quella iniziale dalla quale siamo partiti, ma anche le provocazioni hanno il loro valore se fatte per suscitare un dibattito serio e se tengono conto di quanto nel passato è già emerso in materia. Nel caso specifico l’ipotesi di una unione Busto-Gallarate (che si inserisce in una più ampia storia pregressa da non ignorare) ha comunque consentito di rinfrescare delle opinioni rappresentative dell’economia, della politica locale e di qualche decina di cittadini. Reazioni un po’ freddine, per la verità, e particolarmente incentrate sul problema “campanile”, dimostrazione che l’argomento, così posto, manca di tutta quella base motivazionale necessaria per l’inizio di una seria discussione

Volendo realmente innescare un serio dibattito servono motivazioni ben più solide di quelle generalistiche e, senza offesa per  nessuno, un po’ qualunquistiche, che fino ad ora sono emerse.  Così messa pare trattarsi di una semplice provocazione, ad uso di chi deve riempire pagine di giornale o di chi ricerca una  visibilità mediatica, destinata a sgonfiarsi non appena compare all’orizzonte la prossima, più stimolante.

L’idea, non nuova, di riunire due città deve essere fatta partire dal basso con una dimostrazione palese di vantaggi in termini di risorse umane, finanziarie e strumentali; con una progettualità per la rigenerazione e razionalizzazione dei servizi che eviti duplicazioni, con economie e senza perdite di efficienza. In parole povere occorre lavorare sulla base della cittadinanza per convincerla che i risultati ottenibili vanno a vantaggio della sua quotidianità in termini pratici e concreti, non dimenticando mai che è quella base che ha nelle sue mani la potente arma del “campanile”

Le opinioni saranno sempre contrastanti ma occorre che la maggioranza di una  comunità di 130/140000 cittadini faccia propria l’idea. Una operazione non semplice visto che le più recenti unioni fra comuni, riguardanti comunità con non più di 1500/5000 cittadini, hanno avuto le loro belle difficoltà per arrivare al risultato positivo. Una operazione fortemente condivisa e non imposta dalla politica, se non si vuole ripercorrere la storia di Imperia (creata  per legge dall’unione di Oneglia con Porto Maurizio nel 1923) dove ancor oggi, a distanza di un secolo, si vive di dualismi (due santi protettori, due feste patronali, due centri cittadini, molti uffici pubblici duplicati) con un’unica cosa che le “accomuna”:  la famosa focaccia “sardinara”.

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