Busto, violenze alla moglie: condannato a 13 anni. Falsa testimonianza per la madre e gli amici

BUSTO ARSIZIO – Maltrattamenti, violenze e abusi sulla moglie: condannato a 13 anni e 4 mesi. La sentenza di primo grado pronunciata oggi, giovedì 8 aprile, dal collegio del tribunale di Busto Arsizio presieduto da Rossella Ferrazzi. L’imputato, un 40enne legnanese, non ha battuto ciglio a fronte di una condanna severa che è andata oltre la richiesta dell’accusa: il pubblico ministero Flavia Salvatore aveva chiesto 12 anni al termine della sua requisitoria. Il collegio ha disposto, inoltre, l’invio degli atti in procura per falsa testimonianza a carico di sei testi a discarico: ovvero di 5 amici e della madre dell’imputato.

Falsa testimonianza per la madre e gli amici

Il 40 enne era accusato di aver maltrattato per anni la moglie e di averla violentata almeno in 5 occasioni. Abusi fisici e psicologici subiti anche davanti al figlio minore: in un’occasione il marito aveva colpito la moglie al naso tanto forte da farla sanguinare sino a sporcare il maglioncino del bambino che la vittima teneva in braccio. Agghiacciante, inoltre, la giustificazione addotta dal 40enne per tentare di negare di aver colpito la compagna con una mazza da baseball: «Se l’avessi colpita davvero avrebbe entrambe le gambe rotte». L’uomo, che ha numerosi precedenti tra i quali anche una recidiva specifica, avrebbe inoltre umiliato la vittima anche sul piano fisico e sessuale. In questo senso emblematica la testimonianza della psicologa del centro anti violenza alla quale la vittima si è affidata per riuscire a tornare alla vita dopo aver denunciato il compagno: la professionista ha descritto la donna come «accartocciata», tanto era il suo stato di prostrazione.

La vittima è tornata alla vita

A nulla è valso il tentativo della difesa dell’imputato di far passare la vittima come una cocainomane per cercare di minarne la credibilità: da quando la donna è uscita dall’incubo ha ripreso in mano la sua vita. Ha smesso con la droga (che mai aveva utilizzato prima di conoscere il compagno) come certificano i periodici test del capello ai quali la vittima si sottopone risultati sempre negativi. Non solo: la donna è tornata quella di prima. Quella di prima del matrimonio e delle violenze: ha trovato un lavoro, si occupa del figlio (che non ha mai abbandonato) supportata dalla madre che le è sempre stata accanto in tutta questa vicenda.

Speranza per le donne che denunciano

Vicende di questo genere sono sempre complesse dal punto di vista processuale: è sempre la parola della vittima contro quella dell’imputato. Emblematico, in questo senso, è stato l’esordio del pm Salvatore, che ha seguito passo dopo passo l’intera indagine, in sede di requisitoria: «Raramente ho ascoltato una testimonianza così genuina come quella drammatica della vittima in quest’aula». E nell’associarsi alla richiesta del pubblico ministero per una condanna severa dell’imputato il legale di parte civile ha sottolineato come questo andasse a sostenere «Tutte le donne che hanno il coraggio di denunciare». Il collegio ha colto ogni aspetto, ogni sfumatura e la condanna severa è stata pronunciata oggi: 13 anni e 4 mesi di carcere. Certo il ricorso in Appello da parte dell’imputato che, per ora, resta agli arresti domiciliari. 

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