Chiuso il festival di Locarno rimangono le polemiche per la nipote dell’Avvocato

bruno locarno elkann magari

LOCARNO – In un Festival del cinema di Locarno che registra un flop in termini di presenze, qualità dei film e ospiti a causa anche, ma non solo, delle scelte della neo direttrice artistica francese Lili Hinstin, e delle solite carenze organizzative (da sfatare il mito della Svizzera super efficiente), è esplosa la polemica perché come pellicola di apertura della rassegna in Piazza Grande è stata preferita ‘Magari’ di Ginevra Elkann, nipote dell’avvocato Gianni Agnelli. Decisione di grande prestigio ancora di più per una opera prima di una gentile signora quasi quarantenne che però si è cimentata solo ora dietro la macchina da presa e in più, salvo per il nome, da cineasta perfetta sconosciuta nonostante sia stata assistente alla regia di Bernardo Bertolucci e tuttora produttrice con la Good Films.

In breve è una storia autobiografica (“Sì, no, forse inconsciamente”, ha spiegato  la sorella di John e Lapo, figlia di Alain Elkann e Margherita Agnelli de Pahlen): i tre figli di genitori separati, Alma (la più piccola, quasi una voce narrante), Jean e Sebastiano che vivono a Parigi con la madre dalla fede russo-ortodossa, sono costretti a un periodo di vacanza per le feste natalizie teoricamente a Courmayeur, ma in realtà in una villetta a Sabaudia via Roma insieme al padre (Scamarcio), sceneggiatore scombinato e senza un quattrino con una nuova ennesima compagna (Rohrwacher). Ne emergono sofferenze profonde e incomprensioni, con la bambina che più di tutte desidera la ricostituzione della famiglia.

Alla conferenza stampa, mercoledì 7 agosto, erano presenti molti – forse un po’ troppi – giornalisti italiani rispetto alle altre giornate e al solito. E ben due della Stampa di Torino. Soprattutto visto che ormai al Film Festival vanno – per la crisi dell’editoria, perché i giornali non vogliono spendere – quasi esclusivamente critici pensionati di lungo corso. Il giorno dopo sono uscite le recensioni, quasi tutte positive o molto positive. Il 9 del mese il quotidiano Il Fatto nella perfida rubrica ‘LeccaLecca’ ha intinto la penna nel curaro.
“L’illustre albero genealogico della regista non viene eluso né dalla trama dell’opera né dalla critica incantata dell’organo ufficiale della famiglia che lo trasforma in una palestra dell’intimo travagliato e intenso”, scrive l’estensore che si firma con la sigla Lu. Ce., riferendosi alla Stampa e in generale anche a Repubblica una quota della quale è oggi nella compagine societaria della famiglia di industriali. “L’opera viene definita ‘una pellicola insieme italiana e cosmopolita, leggiadra e drammatica, autobiografica e biografica tout court’ e ancora ‘un film intenso e sensibile girato con il coraggio che solo i timidi possiedono’”, prosegue il dissacrante articolo per concludere “parafrasando Totò: stelle si nasce e lei, la Ginevra, modestamente lo nacque”.

Ma non è finita qui. Il lunedì 12 agosto in prima pagina nella puntuta rubrica ‘Ma mi faccia il piacere’, sempre ispirata al principe Antonio De Curtis, il direttore Marco Travaglio riprende la questione riportando i titoli dei due quotidiani: “Giornalismo investigativo. ‘Ginevra Elkann la mia sfida con una storia sospesa fra felicità e malinconia ‘ (Repubblica.it), ‘Magari di Ginevra Elkann: a Locarno i sentimenti sono affari di famiglia’ (Repubblica), ‘Ginevra Elkann: Felicità e malinconia rinchiuse in un Magari per scoprire la famiglia lì dove c’è l’amore’ (La Stampa)”. Per concludere “E La Stampa e la Repubblica me la massacrano così, con grave sprezzo del pericolo, malgrado sia la sorella dell’ editore. Chapeau”.
A fare da contraltare a valutazioni forse davvero eccessivamente positive e a dimostrare che c’è chi ha il coraggio di tenere davvero la schiena diritta Ugo Brusaporco, giornalista italiano che collabora anche con ‘La Regione’ uno dei più importanti quotidiani del Canton Ticino. Il critico – con equilibrio ma senza remore reverenziali – in un pezzo magistrale ha riportato il film alle sue corrette proporzioni facendone emergere i tanti limiti.

“La crema dell’alta borghesia italiana si è consumata nello scrivere una sceneggiatura che mescola le ideologie di ‘Bitter Sweet’ con un melenso “c’era una volta”, dove bandita è l’emozione. Certo i temi affrontati dalle due signore (Ginevra Elkann e Chiara Barzini, cosceneggiatrice, ndr) sono nobili e importanti, “universali”, come dicono loro”, scrive e ancora: “Il film si porta il peso, oltre che di un linguaggio cinematografico povero, del non saper neppure dire la vicenda. Si badi bene, della incapacità di essere almeno superficiale, perché una superficialità può almeno nascondere grandi profondità: qui nulla è profondo, ci si ferma con dialoghi e fotografia al fotoromanzo, lontana è l’idea di cinema, ma è normale. John Ford spiegava che se un gruppo di cavalleggeri esce da una cavalcata nel deserto, non avrà gli abiti intonsi, ma polverosi. Ecco, in ‘Magari’ manca la polvere della vita, e non canta il sogno”.

Per concludere: “La vicenda è presto detta: la madre dei tre figli, restata incinta dal suo nuovo compagno, decide di mandarli per le vacanze di Natale dal padre che ha promesso loro di portarli in montagna. In verità l’uomo è impegnato da anni alla scrittura di un film, e non ha nessuna intenzione di accontentare i figli, i quali fanno buon viso al genitore alieno, aiutati dall’amante di lui. Tra i tre la più piccola è una bimba, è lei che sogna di rivedere i genitori uniti e colora il suo piccolo mondo di rosa, un giorno forse la famiglia sarà riunita. Ed ecco il ‘Magari’ del titolo. Comunque ‘Magari’ poteva essere un buon film, ma è restato un “magari”.
Insomma il film ha fatto discutere, ma forse il battage e il lavoro dell’entourage della pellicola è stato eccessivo a differenza di Ginevra Elkann educata e disponibile, senza mai mostrare l’alterigia comune a molti esponenti dell’aristocrazia economica.

Angela Bruno

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