Roberto Colombo, sindaco di Canegrate: «Fortunato a essere di nuovo qui, ora pensiamo ai commercianti e al lavoro»

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CANEGRATE – Sindaco Colombo, com’è stato il suo rientro in Comune dopo due mesi?

«A dire la verità avevo già fatto una capatina in incognito venerdì. Comunque è andata bene – risponde Roberto Colombo, sindaco di Canegrate, dopo il primo giorno di lavoro in municipio, lunedì 18 maggio – a partire dall’accoglienza e dal rispetto delle regole per tutti, me compreso, con la rilevazione della temperatura e il lavarsi le mani. Il mio vice (Matteo Modica, nda) è stato bravissimo a prendere il mio posto, ma quello che mi sono trovato a riprendere in mano sulla scrivania è tanto. Siamo qua».

Quali sono stati i suoi primi atti?

«Ieri alle 17.30 ho fatto una cittadinanza, una signora che vive in Italia da tantissimi anni. Poi ho messo in calendario tre matrimoni con la mascherina tra maggio e giugno. La vita va avanti».

Com’è stato il periodo di malattia?

«Lunghissimo. Sono un ottimista, ero convinto chissà perché di non prenderla, fino a venerdì 13 marzo ero in Comune. Forse quella data porta davvero sfortuna perché sono uscito, ho fatto la spesa e sabato mattina avevo la febbre. E sono tornato il 18 maggio. 35 giorni di ospedale sono tanti. Non ho mai avuto paura, l’ho presa con filosofia e ho pensato “mi curano, vediamo di portarla fuori”. Certo, sei un po’ fuori dal mondo, nessuno può venire a trovarti, ma mi chiamavano in tanti e gli amici mi mandavano i giornali che leggo sempre, Manifesto e Repubblica, ma pure Famiglia Cristiana, Avvenire e Libero per farmi incazzare».

Lei è quello che se l’è vista peggio fra tutti i sindaci dell’Altomilanese…

«Ho sentito gli altri colleghi e stanno tutti bene, solo quello di Turbigo è risultato positivo ma asintomatico. Ho trascorso tre giorni in terapia intensiva. Gli altri pazienti avevano il casco sulla testa, io solo la maschera: senza stavo male, ma ero più libero di muovermi, ad esempio per andare in bagno, gli altri no. Poi quando ti spostano di reparto e chiedi come stanno e le infermiere ti dicono che sono morti, capisci quanto sei fortunato. Anche ora mi emoziona la vicinanza di tutti i cittadini. Ho ricevuto messaggi anche dagli avversari e da persone che so che non mi hanno votato».

Veniamo al da farsi.

canegrate sindaco colombo intervista fase2«Prima di ammalarmi, ho fatto in tempo a istituire il telefono amico e a preparare la prima delibera per aiutare i commercianti. Venerdì faremo due commissioni, la socio culturale e gli affari generali, per decidere come distribuire i soldi raccolti con il fondo di mutuo soccorso: 15.000 euro, tanti per un comune piccolo come il nostro, che noi raddoppieremo. Penseremo non solo alle famiglie ma anche ai piccoli commercianti, che hanno chiuso o hanno tenuto aperto con fatica per mantenere il paese vivo. Abbiamo scoperto, e lo dico da consigliere di Coop Lombardia, che abbiamo chiuso troppi negozi di vicinato, che invece andrebbero rivitalizzati e hanno ancora un ruolo fondamentale. Anche se dal punto di vista politico erano nostri avversari».

Il suo Comune è stato fra i più veloci a distribuire i buoni spesa: come ha fatto?

«È vero, magari abbiamo rischiato qualche errore e qualcuno non lo meritava. Così però abbiamo dato subito un aiuto a tanta gente che aveva bisogno, anziché aspettare. Merito del vicesindaco, della giunta e dei servizi sociali che hanno lavorato in fretta: abbiamo dato via tutti i 70.000 euro ricevuti, prima che altri Comuni iniziassero. Ce n’è qualcuno che non li ha ancora distribuiti. E anche il governo fatica ad assegnare i fondi stanziati».

Sa che perfino la Lega ha citato Canegrate a modello per altri Comuni nella gestione dell’emergenza?

«Non lo sapevo. Con questa emergenza abbiamo riscoperto il senso della comunità e del volontariato. Lo slogan era “nessuno deve restare indietro”, a Canegrate sicuramente è stato così ma credo un po’ dappertutto. Tantissimi si sono offerti volontari, per portare le mascherine e il cibo, per visitare gli anziani e portare i malati in ospedale».

Qual è l’eredità dell’emergenza?

«Il senso di solidarietà e di partecipazione. Su questo, tutti i comuni devono darsi da fare. Nell’Alto Milanese c’è stato un ottimo lavoro di squadra dei sindaci di tutte le parti politiche: sulla chat con loro ho ricevuto fino a 500 messaggi al giorno per cercare di muoverci insieme. La malattia ci spingerà a recuperare il modo di far partecipare i cittadini alla vita pubblica e a mettere in moto la solidarietà che in realtà in paese non è mai mancata».

L’immediato futuro però non sarà facile.

«Rimango ottimista. Non mi appello allo “stellone italiano”, ma penso che tanti, tirando su le maniche, riapriranno anche se con fatica. Sul nostro territorio le attività sono riprese, alcune con una nuova ragione sociale. L’impressione è che nella nostra zona ci si darà da fare. Il lavoro nero e sottopagato era molto, chi non ha avuto niente non l’ha avuto perché non era in regola. Bisogna regolarizzare tutti, non solo gli stranieri al Sud che raccolgono i pomodori ma soprattutto i tanti italiani al Nord sottopagati e sottoinquadrati. Bisognerà rivedere la contrattazione collettiva e l’organizzazione aziendale. Anche i vescovi ora dicono che bisogna lavorare meno e lavorare tutti. Tanti lo faranno da casa. Occorre rimettere al centro il lavoratore, non il capitale e il profitto. Questo è il segnale politico per il governo, anche se ci credo poco che andrà in questa direzione. Adesso mi scusi, ma devo andare al cimitero».

Come, sindaco?

«Eh sì, i colombari stanno finendo, non bastano più. In ospedale fuori dalla finestra vedevo la camera mortuaria: sapesse quante bare ho visto portare via. La gente non capisce che di questa malattia si muore, finché non ci si trova coinvolta. E molti comuni come il nostro hanno un altro problema da risolvere: trovare un posto per tutti».

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