Congresso PD, Fisco: «Voglio un partito aperto e che torni a fare politica»

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Giacomo Fisco

VARESEGiacomo Fisco è una delle punte della nouvelle vague del Partito Democratico a Varese e in tutta la provincia di Varese. Giovane, ma con una decina anni di esperienza politica e militanza. Capogruppo in consiglio comunale a Varese, realtà politica dove gli under 40 sono presenti (e si fanno sentire) in forze, e ora candidato alla segreteria provinciale. A decidere chi guiderà il partito per i prossimi anni sarà il congresso in calendario per domenica primo ottobre.

Giacomo Fisco, perché ha deciso di candidarsi?
«Innanzitutto non mi sono candidato da solo. Con la mia squadra crediamo di poter dare al partito quell’entusiasmo che ha perso e vogliamo giocare partite che fino a ora non sono state giocate come avrebbero dovuto».

Secondo lei dove è mancato il Pd provinciale e quali sono le partite all’altezza che dovrebbe giocare la prossima segreteria?
«Servirà un partito che tenga conto della grande diversità del territorio. C’è però un tema che potrebbe essere filo conduttore, seppur con diverse declinazioni. Penso al tema del lavoro: nelle zone di confine c’è la questione del dumping salariale a vantaggio della Svizzera che però nei nostri territori lascia scoperti spazi occupazionali e mano d’opera. A Malpensa c’è invece la questione del “lavoro povero”. Non possiamo tacere davanti a tariffe orarie di 5 euro lordi e stipendi da fame. Il Pd deve essere presente dove il salario non è adeguato».

Torniamo alla sua candidatura. Al momento della presentazione è stato detto a proposito: “Una candidatura della ‘giovanile’, ma non giovanilista”. Un gioco di parole per “sembrare” più adulti?
«Non abbiamo bisogno di sentirci più grandi. È vero che il nostro percorso nasce dalla spinta dei Gd, ma è anche vero che non stiamo parlando di una candidatura generazionale. E non solo. Al nostro fianco, uso il plurale poiché accanto alla mia c’è anche la candidatura di Anna Zambon, abbiamo persone di esperienza. Diciamo che abbiamo costruito il giusto mix tra innovazione, entusiasmo ed esperienza».

Possiamo allora dire che non tutta la giovanile sostiene?
«Che ci siano giovani militanti che non mi sostengono credo sia fisiologico. Fa parte del gioco, e in più dimostra ricchezza e pluralità di idee nel partito. Detto questo, il 93% dei Giovani Democratici ha votato per la mia candidatura. Del resto non tutte le donne sostengono l’altra candidata».

C’è chi fa una battuta: “Candidato giovane per un partito vecchio”. E’ così?
«Battuta brutta e non veritiera. La mia giovane età credo sia un valore. Attenzione però, ho alle spalle dieci anni di militanza e la convinzione che, con la mia squadra, possiamo portare idee e entusiasmo rinnovato».

Lei è più vicino all’area moderata del Partito Democratico, però ha incassato la fiducia di Articolo 1. Come ci è riuscito?
«Innanzi tutto considero chi proviene da quella storia politica un militante del Pd e, visto che siamo un grande partito, non farei tutte queste differenze. Inoltre credo che a convincerli a sostenermi sia stata la nostra proposta programmatica nel suo complesso, non il singolo candidato».

Al Nazionale lei ha sostenuto Bonaccini. Non inizia a starle un po’ stretto il Pd a trazione Schlein?
«Al mio fianco c’è Anna Zambon, che ha sostenuto Elly Schlein ed è membro nell’Assemblea Nazionale. Ecco, con le nostre candidature abbiamo voluto spiegare in maniera plastica che qui in provincia di Varese le divisioni nazionali non hanno riscontro. E’ vero che sul segretario c’è stata una spaccatura netta ma il congresso provinciale non lo si gioca sulle divisioni».

D’accordo, ma a livello nazionale il partito fibrilla un giorno sì e l’altro pure. Com’è possibile che qui non avvertiate il pericolo di una spaccatura incolmabile?
«E’ un tema che non va posto a Varese. Sul territorio il partito non avverte quelle fibrillazione perché il campo è rimescolato. Tra i miei sostenitori c’è anche chi ha votato per Cuperlo, ad esempio».

Insomma, ciò che a Roma divide, a Varese ri-unisce. Con il rischio di fare un minestrone, però. Non crede?
«Più che di rischio parlerei di opportunità per allargare il partito».

In che senso?
«Il tema del partito aperto appartiene a entrambi i candidati. Il Pd è nato per essere un grande partito pluralista e su questo credo ci sia molto da lavorare. Lo dico pur non avendo mai ricoperto incarichi di segreteria a livello provinciale e sono convinto che molto non è stato fatto e tanto resta da fare. Partito aperto? Sì, alle parti sociali, alle forze civiche e ai sindacati».

Dove è mancata la segreteria uscente?
«Diciamo che è mancata la proposta politica. La segreteria uscente si è occupata più della parte organizzativa che dei temi. Oggi il Partito Democratico non è più il movimento di riferimento nazionale, per tornare a esserlo deve avere una proposta politica chiara e tornare ad aprirsi. Anche a livello territoriale».

Come?
«Penso ad esempio alla questione del “caro affitti”. Non possiamo non mettere attorno a un tavolo amministratori, studenti universitari e stakeholder».

Ma il caro affitti è un tema nazionale…
«E i tanti studenti universitari della nostra provincia che vanno negli atenei delle grandi città non li consideriamo? Non solo: oggi studiare è un costo che non tutti possono permettersi. Battersi per questi temi anche a livello provinciale significa tornare credibili agli occhi dei tanti che non ci votano più».

Qual è la prima cosa che farà in caso di vittoria?
«Andare dove il Partito Democratico oggi è assente o non riesce a far sentire la sua voce. Penso a Malpensa, ma anche a quegli spazi in cui si discute di Sanità perché è un problema. E, dove il partito non è presente, iniziare a ricostruire».

Ci aspettavamo una presa di posizione rispetto al suo ruolo di capogruppo in consiglio comunale a Varese. Capogruppo e segretario provinciale non le sembrano ruoli incompatibili?
«A parte che si dovrebbe scindere tra il percorso amministrativo, determinato anche dal voto dei cittadini, e quello politico dentro al partito. A ogni modo in caso di vittoria farò le dovute riflessioni, in caso contrario continuerò il mandato come mi ha chiesto il mio gruppo consiliare».

Fisco “braccio politico” di Alfieri. Quanto c’è di vero nell’ottica congressuale?
«Dai, basta etichette. Le candidature si valutano dalla forza che uno mette per portare avanti i programmi. Questo per dire che si giudicano le persone sulla base della loro azione politica. Non sono il “braccio politico” di nessuno. Quando con Zambon abbiamo deciso di candidarci non abbiamo chiesto il permesso a nessuno. L’abbiamo fatto perché crediamo sia giusto».

La sua avversaria ha già detto che in caso di vittoria non mancherà il rispetto nei confronti dello sconfitto, ma chi vince comanda. Lei che approccio avrà?
«Chi vince sarà il segretario o la segretaria di tutti. La collaborazione è necessaria. Io mi auguro che dal congresso esca un partito più unito. Escludere o non coinvolgere sarebbe un errore».

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