Cuneo fiscale 2020, un nuovo spot?

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di Antonio Laurenzano

Uno dei temi al centro del dibattito politico per la Legge di Bilancio 2020 è il taglio del “cuneo fiscale”. Una misura inserita nel Documento programmatico di bilancio (Dpb) trasmesso dal Governo alla Commissione europea e all’Eurogruppo al termine della maratona notturna di martedi nel corso della quale sono state tracciate le linee guida della manovra finanziaria di fine anno. La riduzione del costo del lavoro è uno dei punti cardine del programma politico del Conte bis, oltre allo stop dell’Iva e alla lotta all’evasione.

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Antonio Laurenzano

Si parla da anni di cuneo fiscale, ossia del totale di imposte, addizionali e contributi previdenziali che gravano, in termini di tassazione, sul costo del lavoro per imprese e lavoratori. Un prelievo che, operando sul lordo delle retribuzioni di ogni lavoratore, ne riduce l’importo in busta paga con sforbiciate impositive che arrivano spesso a dimezzare la paga lorda tabellare. E’ dunque la differenza tra lo stipendio lordo liquidato dal datore di lavoro e la busta paga netta incassata dal dipendente, oltre alla quota contributiva di competenza dello stesso datore di lavoro. In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, il cuneo fiscale è pari a circa il 47%, tra i più alti in Europa, una tassazione che pesa in misura rilevante sul reddito dei lavoratori e sul mercato del lavoro, con ricadute sulla competitività dei nostri processi di produzione. Del totale di imposte, addizionali e contributi che gravano sul costo del lavoro, il 26% resta a carico del datore di lavoro, il 21% è a carico del lavoratore, di cui il 14% sotto forma di imposte dirette e il 7% di contributi.

Alcune misure per la riduzione del carico fiscale, per dipendenti e imprese, sono state introdotte in passato dal Governo Renzi nel 2014 con il “bonus 80 euro” per favorire competitività e domanda interna. Uno spot elettorale, secondo l’opposizione. A distanza di cinque anni, ci riprova il governo giallorosso di Giuseppe Conte con una “misura piccola piccola” che avrà effetti modesti sulla crescita e forse trascurabili: una dote iniziale di 3 miliardi di euro per 4,5 milioni di lavoratori con redditi fra i 26.600 e i 35mila euro. Dal 1° luglio, con un meccanismo “a decalage”, per i dipendenti arriveranno in busta paga, sotto forma di detrazione Irpef, 40-50 euro al mese in più che, risorse finanziarie permettendo, raddoppieranno dal 2021. Resterà il bonus Renzi che consente ai titolari di reddito tra gli 8mila e i 26.600 euro di percepire 960 euro l’anno, ovvero 80 euro al mese. La riduzione del cuneo fiscale non andrà quindi a impattare sull’agevolazione già esistente.

Nessun taglio del cuneo fiscale per le imprese. Certamente, non un buon segnale per il costo del lavoro e per la sua forte incidenza sul processo produttivo del Paese, a crescita zero. Tutto rinviato a tempi migliori. Si era parlato inizialmente di una riduzione dei contributi pagati dal datore di lavoro per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato. Ma la precarietà delle finanze pubbliche, e quindi la copertura delle minori entrate nelle casse dello Stato, ha fatto cadere nel nulla impegni e promesse. Resta comunque sul tappeto il problema di fondo: la riforma del mercato del lavoro e una organica politica anticiclica con una visione di medio termine per il rilancio dell’economia che, secondo le recenti previsioni di Confindustria, è a rischio recessione. A quando una manovra economica capace di aggredire la spesa pubblica corrente (45,5% del Pil) a favore di investimenti, innovazione e infrastrutture?

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