Dante e le donne dalla Vita Nova alla Commedia. Ovvero: lui, lei, l’altra

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LEGNANO – Le donne della letteratura, da Silvia a Laura, da Fiammetta a Drusilla, hanno sempre esercitato un grande fascino e stuzzicato la curiosità femminile, ma anche sollecitato, perché no, un benevolo pizzico di invidia. Muse ispiratrici, donne elevate a simbolo di bellezza, purezza e grazia, destinatarie di una forma di amore senza tempo.

Ma la più sorprendente è certamente Beatrice, ammaliatrice per natura, la donna a cui Dante, incantato sin da quando, bambino, la incontra per la prima volta («quando m’apparve Amor subitamente»), dedica versi indimenticabili: «Quel che ella par, quando un poco sorride, /non si può dicere né tenere a mente, / sì è novo miracolo e gentile» (Vita Nova).

Beatrice non è solo colei di cui il poeta dice «Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand’ella altrui saluta, / ch’ogne lingua deven tremando muta, /e li occhi no l’ardiscon di guardare»: è anche la donna che gli tende la mano all’Inferno, indicandogli il maestro e la via verso la salvezza: « I’ son Beatrice che ti faccio andare; / vegno del loco ove tornar disio; /amor mi mosse, che mi fa parlare» (Inferno, I). Ed è colei che, sì lieta come bella, apre a Dante le porte del Paradiso diventando il suo lume morale, simbolo della Grazia e della Verità rivelata: «dentro a li occhi suoi ardeva un riso / tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo / de la mia gloria e del mio paradiso», per poi essere collocata addirittura nella Candida Rosa dei Beati. Dante, per l’occasione, sfoggia uno dei suoi neologismi per esprimere le sensazioni che ella suscita: «’mparadisa la mia mente» (Paradiso, XXVIII). Beatrice è colei che innalza la mente alla gioia paradisiaca!

Come ogni estate, anche in questa estate 2021, il gossip sotto l’ombrellone ha per tema l’amore: amori nati e amori svaniti, amori passionali e amori idilliaci, amori impossibili, amori di una notte o anche amori per sempre. Ed il pensiero corre al gossip medievale, a Gemma, alla moglie tradita dall’infedele Dante, madre dei suoi figli, lontana durante il lungo esilio del Poeta e forse mai ritrovata, moglie poeticamente dimenticata. La poesia era tutta per l’altra, Beatrice, donna angelica, simbolo di perfezione, oggetto di un indissolubile amore platonico.

E le attenzioni… anche per altre: «Tra cotanta virtù, tra cotanta scienzia quanta dimostrato è di sopra essere stata in questo mirifico poeta, trovo amplissimo luogo la lussuria, e non solamente ne’ giovani anni, ma ancora ne’ maturi. Il quale vizio, come che naturale e comune e quasi necessario sia, nel vero nonché nel commendare, ma scusare non si può degnamente» (G. Boccaccio, Trattatello in laude di Dante).

Dante è il poeta che condanna i lussuriosi, condanna Paolo e Francesca che trasformano l’amor cortese in peccato degno delle pene dell’Inferno, ma è anche il poeta che dedica loro parole indimenticabili, in cui traspare com-passione e comprensione, quasi un invito ad assolverli: «Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende… Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte, / che, come vedi, ancor non m’abbandona» (Inferno, V).

Beatrice, morta giovanissima, non ha potuto godere, almeno nel mondo terreno, della sublimazione dell’amore a lei dedicato, ma per lei lo abbiamo fatto e lo facciamo noi donne, sognando uomini capaci di una simile elevazione di sentimenti, e nel contempo assaporando musicalità e senso di ogni parola, per sentirci, come Beatrice, straordinarie creature! «Ne li occhi porta la mia donna Amore, / per che si fa gentil ciò ch’ella mira; ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira, / e cui saluta fa tremar lo core…» (Vita Nova).

Prof. Ornella Ferrario

ex vice preside Liceo “Galileo Galilei” di Legnano

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