Morire di Covid, morire di fame

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Chi la sa lunga la definisce infodemia. In termini più cristiani è la diffusione di una quantità eccessiva di notizie, spesso buttate lì alla rinfusa, tali da creare una confusione nella quale non ci si raccapezza più. A chi viene in mente il caos informativo sul coronavirus e sulla malattia che sviluppa è nel giusto. La situazione sanitaria è critica, non c’è dubbio. Per più di un motivo, è anche allarmante. Ma nessuna autorità, istituzionale, politica e, tanto meno, scientifica, ci aiuta a districarci nella babele che ci avviluppa leggendo i giornali, consultando i social, guardando un tg. Un giorno compare in televisione il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che mostra la tac ai polmoni di una persona colpita da Covid-19, e alimenta l’ansia, meglio, la paura per le gravi conseguenze della malattia. Un altro giorno, il professorone virologo smorza allarmismi e preoccupazioni annunciando che, sì, il virus viaggia veloce, ma è gestibile, che certe misure imposte ai cittadini sono eccessive, che tutto sommato dobbiamo semplicemente convivere col “nemico invisibile”.

A complicare ogni cosa ci sono i quotidiani bollettini sul numero dei contagi e delle vittime: positivi, asintomatici, paucisintomatici, gravi, meno gravi, ricoverati e via elencando in un effluvio di statistiche da interpretare e che la maggior parte di noi non può e non sa analizzare, Numeri che finiscono anch’essi per seminare il panico. Lo dimostrano l’affollamento dei pronto soccorso e le lunghe file per i tamponi. Tutti necessari?

Poi entra in scena il governo che ci chiude in casa alla sera, provocando la comprensibile reazione di intere categorie produttive e dei servizi fortemente penalizzate, in una interminabile sequenza di Dpcm che dimostrano, tra le altre cose, la mancanza di una direzione precisa, di un’idea sostenuta da modelli scientifici ed economici, nella più evidente improvvisazione. La conferma di un fallimento di programmazione: abbiamo pensato ai monopattini e ai banchi con le rotelle, non una parola sulla riorganizzazione dei trasporti pubblici alla ripresa delle scuole. Con una domanda che ricorre con insistenza tra i gestori di locali pubblici e non solo: a cosa sono serviti gli sforzi per attrezzare bar, ristoranti, palestre, piscine, teatri, cinema?

I richiami alla responsabilità individuale e collettiva sono sacrosanti, ma qualcuno dovrebbe spiegare perché non si è ancora messo mano con efficacia alla cosiddetta medicina territoriale, alla prima linea della prevenzione e delle cure. E’ lì, sul territorio, che, sempre secondo gli esperti, si può combattere e vincere questa annunciatissima seconda ondata, sinora libera di espandersi, perché, appunto, solo annunciata. Ora, è vero, corriamo ai ripari, ma al prezzo di sacrifici che, per molti, rischiano di essere insostenibili. Tutti abbiamo ben presenti gli effetti di natura economica, una bomba sociale pronta per esplodere in scia a una frase fatta, ma drammaticamente vera: per non morire di Covid, rischiamo di morire di fame.

Detto tutto ciò, rimane da sottolineare come le inadempienze, le contraddizioni, le autonome e, a volte, improvvide decisioni di Regioni e Comuni, gli errori di chi ci governa non ci esimono dal rispettare regole funzionali a contenere i contagi e le loro conseguenze. I reiterati e scriteriati assembramenti di giovani nelle città, anche nelle città del Varesotto, sono focolai che nessuno controlla. Abbiamo l’obbligo etico e comportamentale di agire con consapevolezza rispetto a uno scenario inedito quanto pericoloso. Per noi stessi, per coloro a cui vogliamo bene, per la comunità, per il futuro di tutti noi.

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