Delitto Malnate, «Domenichini ha ucciso per mille euro»

Omicidio Malnate interrogatorio Domenichini

VARESE – Carmela Fabozzi è morta per mille euro, i soldi che Sergio Domenichini, dopo averla uccisa, ha ottenuto vendendo in un Compro Oro i gioielli della pensionata di Malnate, presi in casa della stessa vittima. I soldi gli servivano per poter andare in vacanza al mare insieme alla compagna. Queste le conclusioni a cui è giunta la corte d’assise del tribunale di Varese, presieduta da Cesare Tacconi, che lo scorso febbraio ha condannato all’ergastolo il 67enne, in carcere dall’estate del 2022 per il delitto, che risale al 22 luglio di due anni fa.

Il cellulare e il gps

Nelle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo in primo grado, ampio spazio è riservato alla “tecnologia”, per via degli elementi che ha fornito agli investigatori coordinati dalla Procura di Varese, consentendo loro di arrivare al 67enne, che a processo si è detto innocente. C’è il cellulare dell’imputato, scrivono i giudici, che traccia degli spostamenti compatibili con la presenza di Domenichini in casa Fabozzi – un appartamento in via Sanvito a Malnate – in un orario compatibile con l’omicidio, avvenuto la mattina del 22 luglio 2022 proprio nella casa dove la donna era in quel momento sola. E c’è anche il gps della macchina presa a noleggio da Domenichini soltanto il giorno prima del delitto. Gps che il 22 luglio ha memorizzato due passaggi particolarmente importanti: uno nei pressi di via Sanvito e uno all’interno della corte dove abitava la vittima. Il primo è negli spostamenti in macchina tra le 9.49 e le 10.48, quando per l’accusa sarebbe avvenuto l’omicidio; il secondo risale alle 12, quando Domenichini – sempre secondo la tesi accusatoria – sarebbe tornato sul posto per cercare Carmela suonando ai vicini, e creandosi così una sorta di alibi mentre la donna era già morta, e il suo corpo giaceva in una pozza di sangue sul pavimento della sua abitazione.

Il lavaggio dell’auto

Rilevante per i giudici anche il fatto che dopo il delitto il veicolo noleggiato dal 67enne sia stato portato all’autolavaggio, per una pulizia all’interno e all’esterno, nonostante la macchina fosse stata consegnata pulita soltanto il giorno prima: «L’unica lettura sensata che può darsi a questo comportamento – riporta la sentenza – è che Domenichini volesse cancellare tracce di sangue della vittima».

Le tracce sulla scena del crimine

E di tracce, in particolare sulla scena del crimine, gli investigatori ne hanno rilevate diverse, come ricorda la sentenza: il Dna dell’imputato, trovato sotto un’unghia della mano destra della vittima; le sue impronte digitali su quella che per il Ris di Parma è l’arma del delitto, cioè il pesante vaso di vetro blu trovato in casa e usato per colpire violentemente alla testa la pensionata, tramortita in corridoio e poi trascinata quando era già a terra, per l’ultimo colpo mortale. Ma anche le impronte delle scarpe trovate in casa Fabozzi, che sempre il Ris ha ricondotto alle calzature sequestrate al 67enne: «Tutte le impronte – si legge nella sentenza – erano riconducibili al medesimo tipo di calzatura e non sono state trovate impronte di calzatura di altro tipo».

La versione dell’imputato

Illogiche e non credibili, secondo la corte, le dichiarazioni rese in udienza dall’imputato, che non ha spiegato le ragioni per cui il giorno del delitto si era recato a casa di Carmela Fabozzi, donna conosciuta alcuni mesi prima rispetto all’omicidio, quando Domenichini era stato presentato alla pensionata come persona disponibile ad accompagnarla negli spostamenti in auto per svolgere le commissioni; un servizio che Domenichini prestava già per altri anziani, come volontario di una associazione locale. Dopo aver scoperto il corpo, stando al suo racconto, Domenichini «non avverte nessuno, non chiama soccorsi né le forze dell’ordine, se ne va dapprima a cena con la compagna e poi parte per il mare». Un comportamento che per il tribunale indica «una personalità estremamente violenta» e, a fronte del reato per il quale l’uomo è stato condannato all’ergastolo, «una totale non considerazione della vita umana».

I parenti della vittima

Nel processo si sono costituiti parte civile – con l’assistenza degli avvocati Andrea Boni e Rachele Bianchi – il figlio e la nipote di Carmela Fabozzi. Il Tribunale di Varese ha stabilito che l’imputato, difeso dall’avvocato Francesca Cerri, dovrà risarcirli. Per una somma complessiva di 380mila euro.

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