Fleximan, l’Ucraina, Israele e l’indignazione a corrente alternata

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Autovelox reso iinoffensivo da Fleximan

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, già nell’agosto dell’anno passato vi avevo fatto parte della mia simpatia verso quell’aggeggio mieta-portafoglio che è l’autovelox. Avevo anche riferito come il Codacons fosse insorto affermando: “I dati forniti dal Ministero dell’Interno dimostrano in maniera inequivocabile come le entrate derivanti dalle sanzioni per le violazioni al codice della strada rappresentino oramai per molti comuni una cospicua fonte di finanziamento”. Avevo citato alcune situazioni in certi comuni dove l’autovelox era posto in modo tale da non poter in nessun caso rappresentare un dissuasore della velocità. Avevo raccontato che a Cadoneghe, nel Padovano, qualcuno nottetempo aveva fatto letteralmente saltare un autovelox con grande soddisfazione di molti. Mai però mi ero permesso di esaltare questo gesto che è evidentemente un reato.

Credo che sia noto a molti come in quest’ultimo periodo, nel triveneto, alcuni cittadini insofferenti col volto coperto abbiano dato letteralmente la caccia ai perfidi autovelox segandone i sostegni di metallo, rendendoli in questo modo inutilizzabili. Subito la fantasia popolare si è scatenata: così è nato uno strano figuro, Fleximan. Per questi gesti, sui social, sono comparsi elogi a non finire ed anche qualche incredibile e mail posta esaltazione; sono comparsi persino fumetti e caricature in forma di supereroi, davvero al di là di qualsiasi irragionevole commento. Sia chiaro: il danneggiamento di un bene pubblico è e rimane un reato. Vorrei però sommessamente ricordare che l’Italia, secondo un’indagine giornalistica, ha tre volte il numero di autovelox della media europea.

Cari amici vicini e lontani, tutto qui? Perbacco no. Intorno alle simpatie per questi gesti riprovevoli, giunge notizia che il procuratore di Treviso, Marco Martani, esprime una minaccia nient’affatto lieve: “Potrebbe configurarsi l’apologia di reato. Dovrei verificarla bene, è una fattispecie vincolata da determinati presupposti di legge, ma questo è danneggiamento di un bene esposto alla pubblica fede e destinato a pubblico servizio.” Avete ben capito?

Cambiamo scenario. Le guerre sono sempre tragiche e queste bestie mangia-uomini portano sempre morte e distruzione. Difficile dunque distinguere quelle per “buona” causa dalle altre. Spesso il ritrarsi dallo scontro per perseguire la pace ad ogni costo non porta molto lontano. Accadde così nel, ’38 con le prime annessioni di Hitler di alcuni paesi del centro Europa ed ancora nel ’39 con la Polonia. Anche allora qualcuno pensò alla pace ad ogni costo con i nazisti. E fu la guerra. Putin vuole mangiarsi l’Ucraina e la debole Europa già inizia a dubitare del proprio intendimento nel sostenere le ragioni del paese aggredito. E qualcuno esalta le ragioni dell’aggressore: “Tutto sommato non ha tutti i torti!”; “La NATO si è estesa troppo e minaccia la Russia!”. E via di questo passo. Dopo i primi allucinati momenti, qualcuno ancora oggi sottolinea le morti, le distruzioni, le stragi, le torture, le deportazioni di ucraini, anche di bambini, in terra russa? Non mi pare proprio.

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Ivanoe Pellerin

Dopo il terribile pogrom del 7 ottobre, la guerra che Israele ha intrapreso contro Hamas ha suscitato molte polemiche per l’enorme numero di morti e feriti e per la devastazione che un combattimento in un’area densamente abitata comporta. Ricordo che i terroristi di Hamas volevano esattamente questo, sapevano che l’esercito israeliano avrebbe risposto con durezza, aspettavano e probabilmente aspettano ancora l’intervento dei paesi arabi. In altre parole, vogliono tutto il Medio Oriente in fiamme. Da noi, sabato 27 il Giorno della Memoria, ricorrenza per commemorare l’Olocausto, è in programma una manifestazione con corteo pro-Palestina. Giustamente la Comunità ebraica di Roma è molto preoccupata.

Ho letto che sia l’Università di Cagliari sia l’Università di Palermo sono pervase da fervore antisemita con iniziative tese ad esaltare non solo il popolo palestinese ma anche le azioni stragiste di Hamas e di Hezbollah che nelle loro dichiarate intenzioni vogliono la cancellazione dello Stato di Israele dal Giordano al mare. Ed anche di tutti gli ebrei. Ebbene vogliono interrompere le relazioni con gli atenei israeliani per sottolineare la loro vicinanza al popolo palestinese oppresso. In questo senso il 30 gennaio il senato accademico dell’Università di Cagliari dovrà discutere una mozione firmata da un migliaio di studenti in cui si chiede di rescindere l’accordo tra l’ateneo sardo e l’Università di Haifa poiché «si rende responsabile della strategia di pulizia etnica israeliana e del regime di apartheid».

Mi giunge questa notizia. Riguarda la fondazione ospedaliera Mayer. L’ospedale pediatrico Meyer è un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico di tipo pediatrico situato a Firenze. Le sue finalità istituzionali sono il ricovero, la cura e il benessere dei bambini, la ricerca scientifica. È un Istituto piuttosto famoso di cui andare giustamente orgogliosi. Oltre ad essere una struttura di riferimento per l’intera Toscana, è una tra le più dinamiche realtà pediatriche italiane e internazionali. Ebbene un comitato di sapore antisemita ha raccolto diecimila firme per sollevare dall’incarico il Presidente di questa fondazione, Marco Carrai (console onorario d’Israele). Forse perché è ebreo?

Cari amici vicini e lontani, vi ho raccontato queste faccende molto diverse fra loro, per spessore e consistenza, solo per sottolineare come noi adottiamo molto spesso l’indignazione a corrente alternata. Siamo pronti a condannare, magari a denti stretti, coloro che sabotano gli autovelox ma poi siamo piuttosto comprensivi con altre situazioni che dovrebbero far esplodere il nostro sdegno. Le faccende del mondo mettono a dura prova la nostra sensibilità, la nostra comprensione, ma forse non dovremmo farci complici di chi vuole sabotare i nostri valori. Tagliare i pali degli autovelox mette in allarme una procura, tagliare la testa a donne e bambini mette in sonno la nostra memoria.

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