Mezzo secolo di foto: gli scatti del varesino Eugenio Manghi al Castello di Masnago

VARESE – Una mostra antologica per celebrare la carriera di un famoso fotografo e documentarista varesino. Il 30 giugno alle 18 al Castello di Masnago inaugura l’esposizione “Eugenio Manghi. Mezzo secolo di fotografia”, a cura del Comune di Varese. Sarà visitabile fino al 17 settembre (tutte le informazioni su www.museivarese.it)

Riconoscimento a un varesino

L’assessore alla cultura Enzo Laforgia spiega: «La mostra allestita presso il Castello di Masnago è il giusto riconoscimento ad un maestro della fotografia. Eugenio Manghi, pur girando per il mondo, svelandone la bellezza, la ricchezza e la varietà delle culture che lo abitano, resta profondamente legato alla città di Varese, qui proposta in una apposita sezione: immagini intense e punti di osservazione originali, che evidenziano come anche il territorio in cui viviamo sia talvolta minacciato dall’incuria dell’uomo e per questo meriti la giusta attenzione ed una cura costante».

Tre sezioni

Fotografo e documentarista, in questa mostra antologica Manghi propone tre sezioni: la prima incentrata sulla regione canadese del Nunavut, un immenso territorio che Manghi ha visitato tra il 1994 e il 1999 per documentare la vita delle popolazioni che lo abitano, aggrappate alla propria antichissima cultura ancestrale. Nella seconda sezione le fotografie sono state scelte tra quelle prodotte in oltre 45 anni, per appresentare il lungo lavoro dell’autore in Africa, Europa, Italia e soprattutto nell’Artico. In questa sezione sono presenti anche due “idrofanie”: ovvero immagini astratte, retroilluminate, realizzate con gli “Idrofoni” di Pietro Pirelli. Infine l’omaggio di Manghi a Varese: nonostante abbia viaggiato in tutto il mondo, il suo amore e la sua attenzione per la Città Giardino lo hanno portato a un’immensa produzione di immagini su Varese e la sua provincia.

Da pellicola a digitale

«Questa mostra ha anche la caratteristica di “fotografare” la mia personale transizione dalla foto tradizionale, in pellicola, a quella digitale – aggiunge lo stesso autore – un passaggio che io considero quello dalla fotografia propriamente detta, al mondo dell’immagine. Col digitale non si fanno fotografie, si fanno piuttosto delle immagini che nascono per la post-produzione, per essere trasformate, per essere corrette, pulite e anche parzialmente rifatte. Niente di male in tutto questo, ma è necessario chiamare le cose con il proprio nome. Io non disdegno la fotografia digitale e non sono rimasto ancorato a quella tradizionale, ma amo pensare che siano due cose anche profondamente diverse». Quindi la soddisfazione per l’esposizione nella sua città. «Un appuntamento che aspettavo da almeno 30 anni, da quando cioè realizzai la mia prima mostra negli anni ’80 alla palazzina comunale di via Sacco, quella che un tempo tutti chiamavano “videoteca”. Anche allora fu grazie all’Assessorato alla Cultura del Comune di Varese, cui oggi sono particolarmente riconoscente e che ha finanziato anche il catalogo. Questa mostra rappresenta per me un vero punto fermo su una professione/passione che ha animato e confortato il mio desiderio di espressione, di “partecipazione”, per così tanto tempo».