Gallarate, droga nei cassonetti di Exodus: condanne a 9 e 10 anni per i boss

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GALLARATE – Fiumi di droga dal nord Europa a Gallarate. Lo stupefacente stoccato nei cassonetti di Exodus, che dava lavoro al presunto boss del sodalizio. Ieri, mercoledì 13 ottobre, sono arrivate le condanne in primo grado. Il Gup di Busto Tiziana Landoni ha accolto in toto le richieste del pubblico ministero Martina Melita che, al netto dello sconto di pena garantito dal rito abbreviato, aveva chiesto condanne pesanti.

Le condanne

Che sono arrivate. Myrtja Arben, il dipendente di Exodus considerato uno dei cervelli dell’operazione, è stato condannato a 10 anni e 8 mesi. Quello che gli inquirenti considerano il numero due della banda, Behar Gerguri, è stato condannato a 9 anni e 8 mesi. Il giudice non ha ordinato l’immediata liquidazione dei danni per Exodus, che si è costituita parte civile, chiedendo un risarcimento pari a 40mila euro. Il Gup ha sentenziato che il risarcimento è da definirsi in altra sede giudiziaria. L’avvocato Davide Toscani, che assiste Arben, aveva sollevato un’eccezione rivelatasi a quanto pare efficace. A Exodus era già stato offerto un risarcimento ritenuto congruo ma rifiutato.

L’inchiesta

L’inchiesta era partita nell’estate del 2020 dopo una “soffiata” agli inquirenti. Gli accertamenti hanno portato gli inquirenti a smantellare quello che, stando alle accuse, era un vero e proprio fiume di cocaina in transito dal Nord Europa in direzione Gallarate, dove la droga veniva stoccata e poi smistata. Singolare il nascondiglio utilizzato dai presunti trafficanti per nascondere lo stupefacente: i cassonetti gialli che Exodus utilizza per la raccolta di abiti usati da destinare a chi si trova in stato di necessità.

Droga dal Nord Europa

Arben, all’epoca, era dipendente della comunità fondata da don Antonio Mazzi. Proprio lui era stato il primo ad essere arrestato nel settembre dell’anno scorso; stando alle accuse l’uomo non solo stoccava cocaina nei cassonetti ma in alcune occasioni avrebbe utilizzato anche i mezzi della Onlus per traportare lo stupefacente. A marzo erano arrivati gli altri cinque provvedimenti. Secondo le risultanze di indagine la cocaina comprata all’ingrosso veniva pagata 30, 35 mila euro. Lo stupefacente importato aveva una purezza del 93%: tagliato e venduto a 150 euro al grammo poteva fruttare milioni di euro. Secondo gli inquirenti i carichi raggiungevano i 20, 25 chilogrammi di peso a viaggio.

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