Gallarate, il prete-medico nominato Cavaliere: «Confuso e onoratissimo»

Gallarate prete medico Cavaliere

GALLARATE – «Sono al contempo confuso ed onoratissimo per un così alto riconoscimento, che molti, con cui ho avuto il privilegio di lavorare in reparto Covid, meriterebbero». Affida al sito dell’Asst Valle Olona le sue prime parole di ringraziamento don Fabio Stevenazzi, nominato lo scorso 2 giugno Cavaliere della Repubblica dal presidente Sergio Mattarella, al fine di esprimere la riconoscenza del Paese verso quanti si sono adoperati in modo esemplare nel contrasto della pandemia.

Un titolo condiviso

Don Fabio – da un anno sacerdote nella comunità pastorale San Cristoforo di Gallarate – rientra tra i 57 cittadini insigniti del titolo di Cavaliere. Lo scorso marzo, con le chiese chiuse e la pandemia in piena fase espansiva, decise di tornare a indossare il camice che aveva riposto dieci anni prima, quando entrò in seminario, per andare a lavorare nel reparto Covid di terapia sub-intensiva dell’ospedale di Busto Arsizio. Ed è proprio ai colleghi di reparto che dedica questo riconoscimento:  «Penso che anche per loro sia significativo vedere che uno dell’equipe dell’ospedale di Busto dedicata a fronteggiare questa emergenza, abbia ricevuto una simile attenzione dalle nostre Istituzioni. Questo straordinario riconoscimento è anche per i responsabili dell’azienda, i medici, le caposala, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari che hanno affrontato insieme a me, con spirito di assoluta abnegazione e solidarietà, le fatiche di questi mesi».

Un prete sotto lo scafandro

Un mese fa, in una videoconferenza organizzata dal Centro culturale Tommaso Moro di Gallarate, raccontò a circa duecento persone collegate on-line la sua esperienza personale. Disse di non avere mai avuto paura e di non aver mai smesso di essere un sacerdote, anche in corsia. Ha dovuto celebrare alcune volte l’unzione degli infermi e ha persino confessato una persona, anche se «era avvolto in uno scafandro di plastica e devo ammettere di non aver capito molto». A Pasqua, invece, è stata l’unica volta che ha indossato la stola sopra il camice e attraverso gli oblò di vetro ha benedetto i pazienti nelle loro camere.

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