Giustizia riparativa: poca chiarezza tanti dubbi

bottini giustizia riparativa
Il Tribunale di Busto Arsizio, primo in Italia ad applicare le norme della "giustizia riparativa"

di Gian Franco Bottini

Il Tribunale di Busto Arsizio ha avuto in questi giorni l’onore delle prime pagine per aver applicato, per primo in Italia, la “giustizia riparativa”; uno strumento recentemente introdotto, sicuramente sconosciuto alla gente e, vi assicuriamo, poco noto anche a molti del mestiere. Proprio questa scarsa conoscenza e il fatto di averlo presentato come la “concessione” ad un condannato a 30 di carcere (in primo grado) per un femminicidio particolarmente efferato, ha creato immediatamente nella gente una di quelle perplessità che accompagnano frequentemente le decisioni della nostra Giustizia.

Solo qualche giorno appresso, e per quanto ci risulta unicamente grazie alla stampa, si è chiarito trattarsi non di un “beneficio” teso a ridurre o a mitigare la pena stabilita, ma di un istituto che, in certi casi e se correttamente applicato, potrebbe  aiutare sia nel recupero dell’offensore sia nel controllo dei risentimenti dell’offeso.

Chiariamo che tutto quanto diremo vuole essere il pensiero di un qualunque cittadino, quali siamo, senza specifica competenza giuridica, desideroso di sentirsi protetto dalla Giustizia ma anche  di poterla comprendere fino in fondo nei suoi contenuti e nella sua applicazione. Per “giustizia riparativa” si deve intendere un percorso (opportunamente gestito) che” tende al risanamento dei rapporti fra vittime, colpevoli e “comunità” dopo che il legame fra le parti si è rotto con il compimento di un atto criminoso.”

Fa piacere che fra gli attori sia stata prevista anche la “comunità”! Chi altro è “comunità” se non noi, la gente,  con il diritto quindi di capirci qualcosa e soprattutto di essere informati. Cosa che nel caso specifico sicuramente non è avvenuta e che in generale, nelle cose di giustizia, difficilmente avviene.

La “giustizia riparativa” ha fatto dunque il suo esordio proprio a casa nostra e come facenti parte della richiamata “comunità” ci pare di avere il diritto di porci delle domande e di farci sorgere dei dubbi; disponibili anche ad essere considerati degli “ignoranti” in materia , desiderosi  comunque , una volta tanto, di essere aiutati a non esserlo più.

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Gian Franco Bottini

Non vogliamo entrare nel caso specifico, anche se ci è parso davvero singolare che la prima applicazione di questo nuovo strumento avvenisse per un caso dove l’unico attore disponibile a questo percorso sarà purtroppo solo il colpevole reo confesso e con l’assenza di qualsiasi legame da “riparare”, né con la povera vittima né con la citata comunità. Il dubbio che la cosa  possa essere utile solo alla difesa, nei successivi gradi di giudizio, ci pare un dubbio legittimo;  il che, se abbiamo ben capito, tradirebbe completamente lo spirito dell’istituto e tornerebbe a suonare come quel “beneficio” che ha urtato, e non poco, la sensibilità della gente, nella prima ora.

Nessuna critica, da incompetenti come noi, al Tribunale di Busto che, applicando per primo il nuovo istituto, potrebbe semplicemente avere  peccato di ansia da prestazione; un maggior sforzo di comprensione a favore della citata “comunità” avrebbe sicuramente valorizzato anche l’innegabile coraggio della primogenitura. Ma questo potrebbe essere il pensiero di sempliciotti come noi, che alla fin fine questa ”giustizia riparativa” la vediamo di buon occhio se, come già detto, applicata in casi adeguati e con la prospettiva credibile di un buon risultato per la “comunità”.

Per farci meglio comprendere lo vedremmo ben applicabile in casi di stalking, di bullismo, di violenze familiari, di droga, di truffa o altro, dove la presenza di tutte le parti, comunità comprese, potrebbe aiutare a rabberciare situazioni di convivenza o a creare un adeguato clima non vendicativo a pena espiata.

Indubbiamente interessante è il richiamo alla “comunità”, che ci piacerebbe interpretare come l’affermazione di una Giustizia che vuole staccarsi dall’immagine di comparto unicamente da addetti ai lavori, così lontano dalla gente che, nella sua “ignoranza”, non può che alimentarsi di diffidenza, dissenso, dubbio, sfiducia e disinteresse. Le infime percentuali di partecipazione ai più recenti referendum sulla Giustizia hanno dato dei chiari segnali che a quanto pare non sono stati per nulla raccolti!

Da anni si parla di riforma della Giustizia, chiamando in causa unicamente dei tecnicismi, ovviamente validi ma ai più incomprensibili, con il disinteresse per quello che la “comunità” considererebbe la vera e necessaria riforma: semplicemente acquisire le motivazioni per togliersi quel dubbio diffuso che già si poneva l’antico filosofo quando affermava che “il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrare giusta senza esserlo”.

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