Il “campo aperto” di Galimberti, sindaco Pd di Varese che guarda al dopo elezioni

VARESE – Una campagna elettorale dal sindaco del Pd, ma non da candidato. Eppure giocata a tutto campo. Anzi, a volte nell’altra metà campo. Quella renziana, ad esempio, con la sua presenza alla Nau di Castiglione Olona ad accogliere il leader di Italia viva; ma anche quella leghista, l’altra sera durante l’incontro organizzato da Matteo Bianchi. Presenze, quelle messe a segno da Davide Galimberti, che non sono passate inosservate, che hanno fatto discutere dentro al Partito democratico. Ma non solo.

Davide Galimberti, da sindaco e non da candidato, come ha vissuto questa campagna elettorale da centometristi?
«Sono stati affrontati per lo più temi nazionali. E’ una campagna breve, condotta per lo più dai leader di partito che, salvo in rari casi, non è riuscita ad arrivare ai cittadini. La rapidità in questo non aiuta. C’è poco spazio per approfondire e per dialogare, ad esempio, con tutto quell’ambito civico che, dopo il 25 settembre, non più essere lasciato ai margini della politica».

Sindaco lei non è candidato, ma ha vissuto la campagna con distacco. E’ la sua presenza in alcuni momenti – da Renzi ad esempio, ma anche al dibattito di Cl del De Filippi o da Matteo Bianchi – è stata oggetto di discussione e in qualche caso di fibrillazione interna al suo partito, il Pd. I suoi sono segnali politici?
«Sono un sindaco del Pd, ho partecipato alle iniziative del Pd in città e all’appuntamento con i nostri amministratori a Monza. Sono inoltre sicuro che domenica faremo un ottimo risultato. Io stesso sono impegnato per far vincere il mio partito, ma essendo sindaco di una città capoluogo come Varese credo sia fondamentale lavorare anche per aggregare o per lo meno dialogare con tutte le forze politiche e sociali. Lo dico in maniera ancora più chiara: siamo nell’epoca in cui per superare i problemi occorre costruire relazioni. Oggi, infatti, non vedo uno schieramento in grado di risolvere da solo le questioni nazionali e internazionali».

Lei continua a parlare di “campo aperto”, a differenza del suo segretario Enrico Letta e del Pd che il campo di fatto l’hanno ristretto e non poco, o ci sbagliamo?
«Io credo in un campo aperto. Anzi apertissimo».

Quindi le sue presenze ad eventi elettorali non strettamente piddini vanno letti in tal senso?
«Io guardo al giorno dopo, al 26, quando chi davvero vorrà risolvere i problemi dovrà passare dagli slogan utili a catturare il consenso nell’immediato all’operare concreto per ridurre costi energetici, introdurre il salario minimo e realizzare tutto ciò che il governo Draghi avrebbe voluto fare e stava facendo. Ecco, il campo apertissimo a cui mi riferisco è quello composto da tutte quelle forze politiche che davvero vogliono risolvere i problemi dei cittadini».

Però i sondaggi dicono altro: più che il campo aperto potrebbe essere l’asse Meloni Salvini a dettare temi e passo del prossimo governo.
«La mia è una voce fuori dal coro. Il 26 settembre, Meloni e Salvini potrebbero vincere, ma non saranno la maggioranza del Paese. La loro proposta programmatica, sotto il profilo delle risposte politiche ai problemi, spaventa, soprattutto in un territorio come il nostro, gli imprenditori e il mondo del lavoro. E non è un caso che la parte non populista e più costruttiva ha già abbandonato la coalizione di centrodestra facendo altre scelte. E il 26 tutto questo potrebbe essere ancora più evidente».

L’altra sera da Matteo Bianchi ha affondato il colpo in relazione ai timori e ai dubbi che serpeggiano da qualche tempo in Lega. Perché?
«In realtà ho fatto due riflessioni. La prima sulla preoccupazione degli amministratori davanti all’ipotesi di cambiare il Pnrr. Il Pnrr è stato elaborato da diversi ministeri, tra cui, forse il più importante, quello guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti e che ha visto la partecipazione anche dei Comuni. Cambiarlo significherebbe andare contro i territori. La seconda riflessione, più politica: se Fratelli d’Italia supera la Lega, anche qui a livello provinciale, cambiano gli equilibri dentro il centrodestra. E quindi ci saranno ripercussioni rispetto alla soluzione di certe problematiche, ma anche riguardo all’assetto della Provincia di Varese, che tra qualche mese andrà al voto».

Scusi sindaco, ma se si guarda in casa Pd c’è poco da “stare sereni”. Il 26 qualche problema potreste averlo anche voi. A partire dalla guida del partito, non crede?
«Le esperienza amministrative locali, e Varese lo testimonia, dimostrano che il Pd è forte, anzi più forte, quando è in grado di costruire alleanze con diverse anime politiche e sociali del territorio. In particolari con quelle anime civiche e moderate. Il mio partito negli ultimi dieci anni ha dimostrato di avere il coraggio di guardare all’interesse del Paese e di essere una forza responsabile. Dopo il voto di domenica però, anche il Pd non potrà non guardare alle esperienze amministrative di successo che ci sono in giro per l’Italia e non potrà più ignorare questa capacità di aggregazione».