Canto (politico) di Natale e gilet gialli

iseni conte gilet gialli

di Fabrizio Iseni

E’ stato un anno complesso, per il nostro Paese. Siamo partiti con il voto dello scorso 4 marzo che ha visto il successo della Lega e del Movimento 5 stelle, voto che ha ribaltato le tradizioni elettorali italiane degli ultimi sessant’anni, mandando all’opposizione tutti i partiti di governo tradizionali e aprendo la strada al governo giallo-verde (in Italia ci piace sempre dare una connotazione cromatica alla politica, un po’ come nel calcio) con i due vice-premier, Salvini e Di Maio, i quali, grazie al successo elettorale dei rispettivi movimenti, hanno assunto immediatamente un ruolo di primo piano nella sala regia di Palazzo Chigi, adombrando – in più occasioni – il premier Giuseppe Conte. Poi è arrivata l’estate degli sbarchi e della battaglia (consentitemi il termine) contro i migranti, con una Lega tenacemente arroccata per la difesa delle coste italiane dagli assalti dei clandestini e non solo.

L’autunno si è aperto con il durissimo confronto con l’Unione Europea, la guerra dei conti – perché di guerra si è trattato – con l’Italia in trincea e un fitto fuoco di sbarramento da parte di Bruxelles. Toni aspri, durissimi, fra i nostri vice-premier e i commissari europei Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici: da un lato un’Italia che, con la manovra finanziaria giallo-verde (certamente di rottura rispetto al passato), ha cercato di dare prospettive nuove, e dall’altro un’Europa all’insegna del rigore e indisponibile ad aperture.

iseni conte gilet gialliUn braccio di ferro durissimo, giunto ad un passo dalla procedura di infrazione contro il nostro Paese. Cioè alla rottura fra Italia e Unione Europea. Ma poi è successo qualcosa. Il Presidente del Consiglio Conte, che ha mantenuto sempre – dal suo insediamento ad oggi – un ruolo defilato evitando accuratamente i riflettori dell’”arena politica”, ha lavorato con impegno per un’intesa con Bruxelles, trovando però posizioni rigide e irremovibili. Finché ha calato, a mio avviso, l’asso nella manica che ha sciolto nell’arco di una notte tutte le resistenze dei duri dell’Unione: i giubbotti gialli francesi. Cari signori, l’Italia è la terza economia d’Europa: possiamo permetterci che la rivolta francese travalichi le Alpi e contagi anche il nostro Paese? Con le analisi dei servizi di intelligence in una mano e con i dati sullo tsunami populista nell’altra, Conte in una notte ha avuto ragione dei suoi avversari, pur trovando un punto di compromesso sotto il profilo tecnico ed economico.

L’aspetto clamoroso della notte di Giuseppe Conte non è tanto nell’aver portato a casa l’accordo con l’Europa (sebbene gli vada tributato questo merito). La vera novità è che i giubbotti gialli e ciò che essi rappresentano sono stati decisivi e hanno fatto capitolare i duri di Bruxelles; la paura che la rivolta francese possa dilagare in Europa è stata sufficiente per riportare a più miti consigli Dombrovskis, Moscovici e compagni. Del resto la storia insegna. Cosa rappresentano dunque i giubbotti gialli? Una minaccia che va ben oltre il rigore contabile e che l’Unione Europea non può permettersi! Rappresentano la rivolta dei popoli contro le elite, come più volte riportato dalla stampa francese, una rivolta che ha mandato per settimane la Francia del caos.

I giubbotti gialli non sono un problema interno della Francia. Il malessere e la rivolta impiegano un batter di ciglia a travalicare i confini. E quando questo fantasma si è adombrato sui palazzi di Bruxelles, grazie ai rapporti dell’intelligence, il vecchio ma sempre attuale “Canto di Natale” (il famoso The Christmas Carol di Charles Dickens) si è drammaticamente materializzato sul tavolo delle trattative a Bruxelles. Come nella favola di Dickens, i fantasmi del passato non sono serviti a smuovere le coscienze, ma quello del futuro (con addosso un moderno giubbotto giallo) ha terrorizzato tutti, anche gli irriducibili Ebenezer Scrooge-Dombrovskis e Ebenezer Scrooge-Moscovici. E il lieto fine è sotto l’albero di Natale di ciascuno di noi.

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