La Tav e il reddito di cittadinanza di Pippi calzelunghe

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Gian Franco Bottini

di Gian Franco Bottini 

Era la mattina del 7 marzo ed il luogo era un bar di centro città nell’ora in cui i lavoratori del primo turno hanno già fatto la loro colazione ed il momento è quello delle casalinghe in libera uscita, pensionati in  buona forma, professionisti , esuberanti cazzeggiatori e anche di una signora vestita da Pippi Calzelunghe che dichiarava che lei, svedese di origine, nei giorni di carnevale si veste così, senza per ciò sentirsi un pesce fuor d’acqua. Una umanità, insomma, portata alla chiacchiera e spesso con la presunzione di aver la ricetta in tasca per risolvere in maniera definitiva i problemi più scottanti del momento. In tale situazione ascoltare senza intervenire è il giusto atteggiamento , perché l’occasione è propizia per cogliere il sentore e i sentimenti della gente.

L’argomento TAV, in piena discussione al nostro arrivo, era stato però rapidamente liquidato con un plauso generale dei presenti alla perentoria dichiarazione dell’Architetto, il quale affermava che l’opera andava assolutamente fatta e senza troppe discussioni, perché fare un’ infrastruttura significa lasciare una preziosa eredità ai posteri; che da che mondo e mondo attorno a una strada (ferrata o meno) si è sempre creata ricchezza e lavoro e che se i Romani ci avessero pensato su così tanto per fare le loro strade consolari oggi l’Europa sarebbe poco più di una brughiera. Parole forti ma che erano scivolate via come l’acqua, anche perché il tema che quel giorno più interessava il gruppo dei presenti era il Reddito di cittadinanza, che il giorno precedente aveva fatto il suo esordio.

Ad innescare l’argomento era stata proprio la signora Pippi che, ascoltata con lo stesso rispetto che si sarebbe dedicato ad una autorevole signora in tailleur grigio, rammentava agli astanti che i telegiornali sottolineavano come nel primo giorno di presentazione delle domande non ci fosse stato quell’assalto alla diligenza che ci si poteva aspettare.

Il Trumbè, un idraulico impegnato in un vicino cantiere , era immediatamente intervenuto con una astiosa battuta, che fa però comprendere quanto questa misura sociale sia poco ben vista dal popolo nordista: “Per forza, quand’ han capì che i danè…forse arriveranno, ma che poi gli toccava de andà a laurà….quei là (e il riferimento al sud era evidente) in scapai tuch!”
Era tempestivamente intervenuto anche l’Architetto che, con Libero sotto il braccio, si compiaceva di atteggiarsi al Feltri dissacrante della situazione e, dopo aver rapidamente liquidata la Tav, non voleva certo restare tagliato fuori sul nuovo argomento: “Ma che non rompano i c…., a Bergamo il Reddito di cittadinanza lo chiederanno in pochi perché il lavoro se lo vanno a cercare loro… Il guaio è che nel corso degli anni in Italia di Redditi di cittadinanza ce ne siamo già creati di troppi tipi. Perché non è forse un Reddito di cittadinanza il fatto dei Forestali della Calabria che si perdono nei boschi e ce ne vuole altrettanti per andarli a cercare, ma poi ricompaiono tutti per il 27
del mese? E non è un Reddito di cittadinanza il fatto dei tanti invalidi civili, che pare che in certe zone ci siano più morti che vivi? E la signora di Varese che incassava la pensione di uno che era morto da più di vent’anni non si era forse fatta il suo Reddito di cittadinanza personalizzato?”

Soddisfatto della sua intemerata, l’Architetto aveva visivamente richiesto il consenso del suo compagno di cordata, l’Avvocato, che aveva creduto opportuno, in maniera irridente, metterci del suo: “Ma no… adesso è tutta un’altra cosa; ci saranno migliaia di navigator che aiuteranno tutti a trovare miracolosamente il lavoro su misura .Adesso siamo a posto: abbiamo i presunti lavoratori, abbiamo i navigator, ci manca solo il lavoro, ma a quanto pare, Tav a parte, di crearne di nuovo non si interessa nessuno, come se lui potesse venir su da solo come i funghi in agosto….e le previsioni son proprio brutte”

“Anche questa – ha incalzato l’Architetto – è roba vecchia…ognuno il suo navigator in Italia se l’è sempre cercato….perchè , in pratica, come vuoi chiamare la vecchia e collaudata “ raccomandazione”?” I due esuberanti “energumeni” si erano poi allontanati argomentando animatamente fra loro, ma sospendendo volentieri la loro discussione per ossequiare, con la postura da vecchi gallinacci, una
avvenente signora incrociata appena usciti dal bar.

A quel punto un dignitosissimo signore che fino ad allora aveva silenziosamente ascoltato, e che la barista aveva chiamato “Direttore” , si era alzato dal suo tavolino e avvicinandosi al banco per restituire educatamente la sua tazzina oramai vuota, quasi sommessamente era così intervenuto: “Mah…io sono originario del sud che amo ed odio, per le sue virtù ed i suoi vizi, ma capisco anche i discorsi dei signori che sono appena usciti; forse un po’ superficiali ma con un fondo di verità. La mia terra si può salvare solo con il lavoro perché di assistenza, vera o pelosa che sia, il sud sta morendo; purtroppo però anche questa volta si sono cercati solo i voti, invece che fare qualcosa per aiutare i giovani a creare una economia pulita e integrabile al resto del Paese. Temo che i giovani prendano questa cosa del Reddito come una specie di “paghetta” e rivolgano le loro energie nello sviluppare una già fiorente economia parallela , spesso “nera” o poco lecita. In questo caso
sarebbero destinati a diventare un ulteriore bacino di furbizie o peggio di malcontento, quando si rendessero conto che un tale provvedimento assistenziale non può essere garantito “ nei secoli “.”

I presenti si erano dimostrati colpiti da queste pacate riflessioni e la signora Pippi Calzelunghe aveva pensato bene di alleggerire il clima, dichiarando con un sorriso che Tav e Reddito erano problemi che avrebbe risolti lei, mettendo a disposizione dell’Italia quell’immenso tesoro costituito dalle preziosissime monete d’oro contenute nella sua borsa magica, come la favola racconta.
Sull’onda della considerazione che “a carnevale ogni scherzo vale” era sbucato anche qualche timido sorriso, subito però frenato da una perentoria e seccata affermazione di un sempre più corrucciato Trumbè: “C’è poco da ridere…basta leg el giurnal e a mi me par de vès semper in carneval!”- e se ne era andato brontolando lasciandoci, in un bar oramai quasi deserto, a meditare tristemente nel fondo di una tazzina di caffè perché incapaci di leggerci il futuro.

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