La certezza della pena

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di Adet Tony Novik*

Un discorso che abbia ad oggetto il tema della certezza della pena non può prescindere da alcune considerazioni di carattere generale. Ogni collettività organizzata prevede un sistema punitivo. Fin da quando si è passati dalla barbarie della prevalenza della legge del più forte ad un ordinamento in cui lo Stato assume su di sé il compito della tutela dei diritti, è sorta la necessità della punizione dei comportamenti devianti. Se anche esistono ancora –ma il numero diminuisce progressivamente- persone per le quali l’osservanza delle regole risponde ad una etica sentita e vissuta, persone cioè che rispetterebbero le regole anche se non fossero sanzionate con una pena (che possono delinquere episodicamente), ve ne sono altre che o si ritengono al di sopra della legge (sono i reati di natura economico politica e finanziari) o che accettano coscientemente, con un bilanciamento di profitto e perdita, il rischio connesso alla infrazione dei divieti. Nei confronti di queste due categorie di persone il diritto penale realizza una barriera di protezione dei valori essenziali della persona.

Il sistema delle pene, cioè il diritto penale, indica i comportamenti vietati, i reati, e quale pena, tra un limite e un massimo, sarà applicata in caso di trasgressione (al termine di un processo che accerti la responsabilità). La pena irrogata sarà poi scontata nei luoghi di esecuzione deputati.

Ecco quindi che il concetto di «certezza della pena» assume un significato ambivalente: come certezza che ogni reato sia punito e come certezza che la pena irrogata sia poi effettivamente scontata.

Non è questa la sede per parlare dei tempi della giustizia e delle variabili che entrano in gioco per arrivare alla sentenza definitiva e ai suoi contenuti. Nei discorsi quotidiani la richiesta pressante dell’opinione pubblica, e ancor più delle vittime di reati, è sapere se il colpevole sconterà la pena che è stata inflitta, o no.

Naturalmente, le valutazioni che seguono riguardano i casi in cui la pena non è stata sospesa, perché in caso di sospensione il problema della sua esecuzione nemmeno si pone.

Per rispondere occorre mettere dei punti fermi. Ogni detenuto ha un costo. Servono carceri, agenti di custodia, servizi di assistenza. Le carceri esistenti sono insufficienti e nonostante gli impegni di tutti i governi, nulla di concreto si realizza per adeguarle alle effettive necessità. Attualmente i detenuti sono circa 60.000 a fronte di una capienza di 50.000 posti. L’insufficienza dei posti nel passato, ancor più di oggi, ha determinato il sovraffollamento carcerario e la condanna dell’Italia in sede europea per detenzione inumana. Con la conseguenza di dover risarcire i detenuti. L’impulso che ha spinto la politica non è stato più quello di impedire i reati, ma di sfoltire le carceri. Per abbassare la febbre, si è rotto il termometro. È stato progressivamente attuato un sistema a doppio binario. Per i più gravi reati, chiamiamoli per comodità di serie A (tra cui, omicidio volontario, rapine aggravate, violenza sessuale, pedofilia, corruzione, concussione) la regola è che dopo la sentenza definitiva si aprono le porte del carcere; per gli altri reati, di serie B, si apre la strada dei benefici che vanno dalla liberazione anticipata, per cui ogni anno di reclusione, se vi è buona condotta carceraria, è ridotto di tre mesi, alle misure alternative alla detenzione (affidamento in prova ai servizi sociali, detenzione domiciliare).

Addirittura, per le condanne per i reati di serie B a pena non superiore a quattro anni –vi rientrano la maggior parte delle condanne inflitte nei tribunali- la regola è l’affidamento in prova ai servizi sociali. La stessa regola vale quando la pena originariamente inflitta si è ridotta comunque a quattro anni. Ne è nato quindi un sistema a maglie larghe nelle quali la criminalità comune, quella per intenderci che affligge i comuni cittadini, si muove con disinvoltura, consapevole di poter approfittare delle condizioni di favore previste dalla legge. Gli esempi che ho visto sono infiniti. Il trafficante di droga che dice che con quello che ha guadagnato si paga un buon avvocato e in poco tempo esce dal carcere; lo straniero che parlando telefonicamente con il connazionale detenuto all’estero lo invita, dopo la scarcerazione, a venire in Italia perché qui si guadagna bene e si rischia poco; il ricettatore che in carcere programma nuovi reati e trova normale il rischio dell’arresto “basta che non sia per omicidio”; il detenuto che si trova in libertà condizionata che, richiesto di eseguire un omicidio, afferma “Io non lo posso fare perché sono sottoposto a controlli, ma lo può fare un amico che è affidato ai servizi sociali e può muoversi liberamente”.

Allora, il punto non è più la certezza della pena, perchè una pena anche se vi è stato un affidamento ai servizi sociali, comunque si sconta, ma quello della sua dissuasività. Può una pena non sentita veramente come tale, ma che presente un alto tasso di aleatorietà, esercitare un effettivo effetto dissuasivo e contribuire alla rieducazione del condannato, come vuole la Costituzione? Su questo i dubbi sono più che fondati.

*Magistrato presso la Corte di Cassazione

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