La fatica obbligata, le fandonie e “Il pranzo di Babette”

caffè pellerin

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, in questa estate già calda, mentre degustavo un introvabile caffè dalla crema vellutata, con note di miele e frutta secca e sentori speziati in un bar dalle antiche forme della tradizione varesina, un amico un po’ “folle” ha interrotto la mia concentrazione decantandomi con voce rombante le sue “performaces” in termini di attività agonistica. Aveva appena completato un giraingiro di 50 Km in pochissimo tempo in bicicletta, si stava coscienziosamente allenando per una maratona cittadina ed era partito alle sei del mattino per misurare in quanto tempo poteva percorrere a piedi di corsa 20 Km. Mi assicurava nel contempo che teneva costantemente sotto osservazione la frequenza cardiaca non volendo superare i 110/120 battiti al minuto. Mi chiedeva consigli sulla migliore alimentazione per sostenere lo sforzo. Poiché l’età dell’amico conta circa 65 anni, io mi sono domandato quale impegno compulsivo lo spingesse a tale incredibile fatica.

Gli incredibili progressi delle bioscienze hanno permesso di allungare la vita come mai prima d’ora e la media italiana supera abbondantemente gli 80 anni. Questo produce complesse conseguenze sociali, economiche, sanitarie ed anche psicologiche. Infatti questa società tutta protesa verso il delirio dell’onnipotenza, balbetta di fronte al concetto di vecchiaia, che pure i nostri vecchi sapevano accettare con serenità. Ecco dunque affacciarsi degli elementi dissonanti rispetto ad un modello di salute che tutto sommato ci viene imposto. È chiaro per molti di noi che è giusto praticare con inevitabili limiti lo sport o ricercare il movimento, che è giusto prestare attenzione al cibo, che è giusto essere attenti alle indicazioni circa la prevenzione dei malanni che la sanità ci propone.  Altri intendono tutto ciò in modo maniacale e ossessivo. Ecco comparire uno stuolo di persone che diventano schiave delle proprie prestazioni e delle endorfine, di una dieta rigorosa e perversa al limite della fame, di controlli sanitari difficili ed inutili per calmare la patofobia e l’ipocondria. Siamo entrati nell’era degli eccessi e stanno nascendo nuove e curiose patologie alla ricerca forsennata proprio di una sorta di immortalità. Ecco dunque la dipendenza fisica e psicologica dalla prestazione sportiva a qualunque età e l’ortoressia.

Intanto c’è un eccesso di informazioni. Molte fra queste sono storielle, fandonie, panzane, molto simpatiche e accattivanti, simili al vero, ma non scientificamente provate. Il mio pensiero è questo. L’evoluzione delle tecnologie biomediche è stata così rapida e rivoluzionaria che ha prodotto, quasi per compenso, un rifiuto delle leggi scientifiche proprio per l’ovvia impossibilità di sconfiggere la morte. Questo ha prodotto un rigetto profondo proprio degli aspetti più strettamente legati alle scienze e la ricerca di un rifugio in un mondo magico, fiabesco, utopistico dove al contrario tutto è possibile. Mai maghi, cartomanti e ciarlatani hanno avuto un così grande ed evidente successo anche al cospetto di evidenze portate da uomini di grande e riconosciuta cultura. Molti insospettabili uomini importanti e di potere hanno il loro personale maghetto nascosto nell’armadio da consultare al bisogno. Naturalmente sono quelli che affermano con forza di non credere alle illusioni.

Una strana ossessione psicologica per il “mangiare sano” viene definita dagli addetti ai lavori “ortoressia”. In molte occasioni ho invitato amici e pazienti ad essere attenti alle calorie, alle proteine, agli zuccheri e a distinguere i grassi insaturi da quelli saturi. Confermo tutto. Ma il fanatismo alimentare è un’altra cosa. Di questo intruglio di interpretazioni un po’ deliranti è pieno il nostro quotidiano: l’olio di palma è veleno, formaggi e carni devono essere banditi dalla tavola, il burro è la farina del Diavolo e gli insaccati abbreviano la vita. Coloro che soffrono di questo disturbo spendono molto tempo a selezionare il cibo più per gli eventuali benefici che per il gusto e a sentirsi in pace con sé stessi solo di fronte ad una rigida alimentazione ritenuta assolutamente corretta. Costoro, alla ricerca dell’immortalità, considerano il cibo come un farmaco. Il pensiero fortemente invadente è: “se mangio sano non mi ammalerò mai”. Ovviamente è una straordinaria illusione.

Forse invece dobbiamo tornare a pensare che il cibo è vita e gioia di vivere e che sedersi intorno alla tavola imbandita favorisce la conversazione, quindi la relazione, soprattutto i buoni sentimenti. Naturalmente al centro del mio pensiero vi è la moderazione. Est modus in rebus, dicevano i nostri predecessori.

Non so se vi ricordate il film “Il pranzo di Babette”, sceneggiato e diretto di Gabriel Axel e tratto da un racconto di Karen Blixen. La pellicola (Oscar nel 1987 come migliore opera straniera) è ambientata alla fine dell’Ottocento e tratta di un incredibile pranzo in un piccolo e chiuso paese della Danimarca dove le relazioni sono piuttosto difficili. Gli invitati si siedono alla tavola con molta difficoltà ma i sensi di colpa, le aridità e i conflitti si sciolgono a mano a mano che il pranzo si svolge.   La bontà del cibo è tale che alla fine tutti si sentono felici e appagati nel corpo e nello spirito.
Cari amici vicini e lontani, vi auguro di trovare sulla vostra strada tanti “pranzi di Babette” che vi aprano il cuore e la mente.

Babette fondonie pellerin – MALPENSA24