L’architetto Mario Botta: «La Città Giardino è andata completamente distrutta»

intervista mario botta varese

MENDRISIO – Lo studio di Mario Botta a Mendrisio dista dal confine del Gaggiolo poco meno di 7 chilometri. Eppure il Maestro svizzero, fondatore della scuola ticinese e tra le firme più importanti dell’architettura mondiale, in provincia di Varese ha lavorato poco. Quasi nulla. La torre residenziale nell’area ex Cantoni di Gallarate rimane la sua unica firma tangibile.

Maestro Botta, ha lavorato in tutto il mondo ma non a due passi da casa.
«In provincia di Varese ho fatto pochissimo, ma non saprei dire perché. Ho fatto dei bellissimi studi sul Sacro Monte, qui all’Accademia. Se il Sacro Monte di Varese fosse in un altro ambiente sarebbe valorizzato. Perché è un’azione straordinaria. Altro che parco urbano: lì non si capisce dove termina il parco e dove inizia l’architettura. E’ un sogno della Gerusalemme terrestre. Ai turisti bisognerebbe dire: salite in ginocchio, perché noi almeno qualcosa abbiamo pagato, mentre a voi invece questa meraviglia vi è data».

sacro monte varese

Di Varese città che ne pensa?
«La Città Giardino è andata completamente distrutta. C’erano delle potenzialità incredibili ed è un peccato che la nostra generazione, per il gran correre quotidiano, non abbia più gli anticorpi per reagire. Perché l’Italia è un Paese straordinario, da un punto di vista intellettuale, culturale, filosofico. E’ il Paese che ha più coscienza critica, però è evidente l’incapacità a trasformarla in un anticorpo reale».

Perché?
«Credo ci sia una vera e propria impossibilità nell’organizzazione della città: tutto è fatto per fare in fretta e male. Bisogna fare subito e male, e allora si aprono le porte. Se invece fai riflettendo, e con i tempi di correzione che servono, vieni considerato un terrorista».

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In cosa dovrebbe migliorare l’Italia?
«Oggi si lavora più per risolvere i problemi burocratici che quelli reali. In Italia questo è esasperato. C’è come un terrore nello sbagliare, quando invece tutti sbagliamo. Deve sbagliare anche un funzionario, senza per questo fargli un processo. Ogni passaggio dunque diventa difficile. Tutti parlano di sburocratizzazione, ma è la parola più vuota che esista oggi. Tutti lavorano per pararsi dalle proprie responsabilità».

Sta invece cambiando qualcosa nel rapporto tra architettura e sostenibilità?
«Questa nuova consapevolezza è direttamente proporzionale ai disastri che abbiamo causato. I nuovi movimenti, anche un po’ esasperati, hanno ragione di esistere perché la cultura moderna ha fatto talmente tanto e talmente male che questa reazione generazionale è giusta. Anche in questo caso il passato è di insegnamento, perché l’architettura del passato aveva sempre trovato degli equilibri ambientali. Siamo noi che siamo andati oltre. Abbiamo costruito dove non si doveva costruire e poi ci lamentiamo degli squilibri ambientali. La follia del moderno ha rovesciato equilibri ancestrali che ora bisogna correggere».

Gallarate resterà la sua ultima impronta in provincia di Varese?
«La penultima. Mi lasci ancora tempo. Vorrei lavorare almeno altri dieci anni».

intervista mario botta varese – MALPENSA24