Le sentenze di morte del Mengele de’ noantri

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Nel nostro ordinamento giudiziario nessuno è colpevole fino a prova contraria, ovvero fino al giudizio di terzo grado. Principio di civiltà che vale anche per Leonardo Cazzaniga, il dottor morte del pronto soccorso di Saronno, a processo in corte d’assise a Busto Arsizio con l’accusa di avere accelerato il decesso di una decina, e forse più, di pazienti finiti sotto le sue mani. Ma ciò che già emerge dal lungo e complesso dibattimento non può lasciare indifferenti. Fatti e comportamenti che inquietano e definiscono situazioni impensabili, se non per la sceneggiatura di un film dell’orrore e di certi noir in cui si muovono protagonisti avvolti da nebbie e oscurità esistenziali.
Non c’è bisogno di attendere una sentenza per capire che là dentro, in quelle corsie ospedaliere, accadeva qualcosa di disumano, benché si cerchi in qualche modo di inquadrare il famoso “protocollo Cazzaniga” in un contesto di pietà: “Erano pazienti terminali, venivano aiutati a oltrepassare il confine”. Tesi difensiva ancora più agghiacciante dei fatti che vengono contestati all’imputato e alla sua amante, l’infermiera Laura Taroni, già sottoposta a un primo giudizio in abbreviato: condannata a trent’anni. 
Il pronto soccorso di Saronno era di fatto un luogo maledetto. Cazzaniga vi imperava anche grazie al clima di paure e di omertà che si era e, con tutta probabilità, aveva egli stesso creato. Non è possibile che nessuno sapesse, né che i vertici ospedalieri non avessero percepito le terribili anomalie che ne dominavano l’attività. Certo, era difficile credere a quel che succedeva e che qualcuno andava raccontando, meglio, sussurrando. Addirittura, non vi hanno creduto i carabinieri ai quali un’infermiera si era rivolta per sporgere denuncia: “Presenti un esposto anomimo” fu l’invito dei militari che ascoltarono le deposizioni.
Il quadro di riferimento che ne esce è allucinante. Tanto che in questi giorni, alla lettura dei resoconti dei cronisti giudiziari che seguono il processo, è un’alluvione di commenti, più o meno crudeli, sui social. Come si fa a rimanere indifferenti? Com’è possibile non indignarsi, meglio, ribellarsi alla frase che il dottor morte avrebbe pronunciato alla vista dell’ennesima, potenziale vittima? “Mi avete portato un catorcio, ora ci penso io”. Non c’è molto da dire rispetto a una tale affermazione. Anzi, non c’è proprio nulla da dire davanti a quel “ora ci penso io” che equivale a una sentenza di morte. Questo Mengele de ‘noantri avrà forse mille, centomila giustificazioni. Magari, come estrema ratio, si rifugerà negli anfratti di un distorto senso di umanità, la sua. Dirà e spiegherà, ma ciò che emerge sin d’ora dal processo pare arrivi da un un altro mondo. Marziani o criminali, lui e chi, in un contesto ospedaliero deputato a dare sollievo e, quindi, la vita, lo ha sostenuto fingendo di non sapere. Per non suscitare o, peggio, per non avere problemi. Terrificante.

Cazzaniga processo mengele – MALPENSA24