Maxi frode al Fondo piccole e medie imprese, 24 arresti

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MILANOAssociazione a delinquere finalizzata alla bancarotta, truffa ai danni dello Stato, riciclaggio e autoriciclaggio, ai danni del sistema bancario. Queste le accuse a carico di 24 persone, arrestate dalla Guardia di Finanza di Milano, al termine dell’operazioneBad boys” e che hanno sequestrato 85 milioni di euro agli indagati.

Le misure e l’inchiesta

Sono in totale 25 misure cautelari eseguite dalle fiamme gialle meneghine, di cui 11 in carcere, 13 agli arresti domiciliari e 1 obbligo di dimora nel comune di residenza, nell’ambito di complesse indagini delegate dalla Procura di Milano, che hanno permesso di individuare un sodalizio criminale, base a Milano ed operativo sull’intero territorio nazionale, dedito alla commissione di truffe e al conseguente riciclaggio di denaro di provenienza illecita.

L’attività investigativa, avviata nel 2019, ha portato alla luce un articolato meccanismo di frode posto in essere sin dal 2014, attraverso numerose società commerciali intestate a soggetti “prestanome”, ma di fatto gestite dai sodali dell’associazione, i cui bilanci venivano sistematicamente falsificati, al fine di ottenere, da parte di vari istituti bancari, l’apertura di linee di credito per la maggior parte garantite dallo Stato attraverso il Fondo per le Piccole e Medie Imprese. Le somme sono state poi illecitamente drenate verso altre società compiacenti, compromettendo le pretese creditorie degli istituti di credito, i quali però – in forza della garanzia pubblica – hanno riversato su Mediocredito Centrale l’intero pregiudizio patrimoniale subito con la truffa, per un ammontare di circa 25 milioni di euro. Numerose società di comodo, esaurita la loro vita utile e gravate da ingenti debiti fiscali, sono state condotte al fallimento, circostanza che ha portato alla contestazione del reato di bancarotta fraudolenta nei confronti dei responsabili.

Il meccanismo fraudolento

Le risorse finanziarie illecitamente sottratte al sistema bancario, sono state poi riciclate secondo due distinte modalità. Da un lato, i fondi sono stati dirottati nell’acquisto di ricariche telefoniche per diversi milioni di euro, con conseguente monetizzazione della frode grazie alla loro vendita “in nero” a soggetti terzi. Parallelamente, si è assistito al trasferimento dei proventi illeciti su conti correnti esteri intestati a soggetti economici di diritto cinese e alla successiva retrocessione in contanti ai vertici dell’organizzazione. Il flusso di ritorno del denaro così riciclato era gestito da soggetti di nazionalità cinese ed agevolato dalla compiacenza di un funzionario di banca.

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