‘Ndrangheta a Lonate, fallimenti pilotati per finanziare i clan: chiesti 12 anni

Il pubblico ministero Silvia Bonardi

LONATE POZZOLO – Il pubblico ministero della Dda di Milano Silvia Bonardi ha chiesto oggi, giovedì 2 maggio, la condanna a 12 anni di carcere per Ernesto Barone, 54 anni, originario di Vibo Valentia ma residente a Legnano, accusato di far parte di un sodalizio criminale che avrebbe pilotato fallimenti per spolpare le aziende mettendole in ginocchio, drenando i soldi anche a favore delle famiglie degli affiliati di ‘ndrangheta da mantenere. Per questo la Distrettuale milanese – che da anni indaga sulla locale Lonate-Legnano – contesta anche l’aggravante mafiosa.

Bancarotta e fatture false

La richiesta di condanna è arrivata al termine della lunga requisitoria del Pm davanti al collegio del tribunale di Busto Arsizio presieduto da Rossella Ferrazzi. Figura cerniera della presunta associazione a delinquere, tra fatture false e numerosi casi di bancarotta, era, per l’accusa, proprio Barone. «Che non ha mai svolto alcuna attività imprenditoriale, condivideva con Maurizio Ponzoni (indagato con Barone e altre quattro persone nella medesima inchiesta) non delle decisioni societarie ma delle scelte delinquenziali».

Un milione garantito dallo Stato

Secondo l’accusa i sodali avrebbero rilevato una dopo l’altra piccole imprese svuotandole e aprendo, in pochi mesi, un buco da 10 milioni di euro. Non solo, sempre secondo quanto emerso dalle indagini del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Varese, durante la pandemia, si sarebbero fatti garantire dallo Stato prestiti bancari per più di un milione di euro. 

I “cestini” per il clan

Soldi che non venivano investiti nelle aziende, questo sostiene la Dda, ma servivano anche per i “cestini” da destinare alle famiglie del territorio collegate all’ndrangheta. Il riferimento del pubblico ministero è andato, oggi, alla locale Legnano-Lonate Pozzolo, guidata dal boss Vincenzo Rispoli, da oltre 20 anni protagonista di maxi inchieste sul territorio. Il Pm Bonardi ha spiegato oggi in aula ad esempio, come alla moglie di Rispoli fu consegnato un “pensiero” natalizio da circa 2mila euro, ma anche una provvista da 20 mila euro per pagare l’affitto di casa alla famiglia di un altro appartenente al clan. Sempre stando alle accuse della Dda furono assunti anche due famigliari di Mario Filippelli, altro esponente della cosca.

L’affare Covid

Il presunto sodalizio avrebbe approfittato anche dell’emergenza Covid. Grazie alla misura che permetteva alle aziende di ottenere prestiti dalle banche con la garanzia dello Stato sarebbero riusciti a farsi finanziare per più di un milione di euro. Soldi non trasmessi alle aziende, tanto che i finanzieri trovarono circa 200mila euro in contanti nelle abitazioni degli indagati.

Le difese

Di segno diametralmente opposto la discussione del collegio difensivo di Barone. «Non è mai esistita alcuna associazione a delinquere tra il nostro assistito e il co-indagato Ponzoni – spiega l’avvocato Alessandro Sola – Esiste, certamente, un discorso di false fatturazioni in relazioni a società riconducibili a Ponzoni o al solo Barone. Non c’è alcuna associazione a delinquere, né tantomeno esiste un’aggravante mafiosa per il nostro assistito. Fatto per cui abbiamo chiesto l’esclusione dell’aggravante. Non c’è alcun legame con presunti esponenti di clan della zona». L’udienza è stata aggiornata a giugno per repliche e sentenza.

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