Povertà e disoccupazione: il coronavirus apre scenari drammatici nel mondo

Mezzo miliardo di persone a  rischio di povertà estreme nel mondo, oltre 195  milioni di posti di lavoro in fumo a livello internazionale, shock sull’economia italiana a causa del cosiddetto lockdown, il confinamento a casa della popolazione. L’impatto del coronavirus è apocalittico non solo a livello sanitario. L’Oxfam, una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo, traccia uno scenario drammatico: il nuovo rapporto ‘Dignità, non miseria’ denuncia come la contrazione dei consumi e redditi causata dallo shock pandemico rischi di ridurre in povertà tra il 6 e l’8% della popolazione mondiale. I progressi ottenuti negli ultimi 10 anni nella lotta alla povertà estrema “rischiano di essere azzerati: in alcune regioni del globo i livelli di povertà tornerebbero addirittura a quelli di 30 anni fa”.

Un impatto socio-economico devastante se letto alla luce delle proiezioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) che vedono una riduzione complessiva del reddito da lavoro – fonte principale di sostentamento individuale – “fino a 3.400 miliardi di dollari entro il 2020”.  Numeri che fanno lanciare ad Oxfam un appello in vista del G20 Finanze e del Summit della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale: serve “un pacchetto straordinario di misure per aiutare le economie più fragili e garantire l’accesso gratuito alle cure sanitarie per tutti”. In Italia, secondo l’organizzazione già prima dell’epidemia il 25% dei cittadini riteneva di non poter affrontare una spesa imprevista di 800 euro senza indebitarsi.

“Ora – afferma Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia – è davvero essenziale che il Governo garantisca, in questa fase di shock senza precedenti, un reddito di emergenza a quelle categorie ad oggi escluse dalle misure messe in campo”. Nel bisogno sono collaboratori domestici, lavoratori stagionali, impiegati parasubordinati non occupati e autonomi senza partita Iva e inoltre i circa 3 milioni di lavoratori con contratti in nero. La situazione da critica potrebbe diventare disperata se il virus continuasse nel tempo e i livelli occupazionali precipitassero perché mancano tutele e prospettive per milioni di disoccupati e lavoratori impiegati nel settore informale, cioè non regolamentato, sia nei Paesi ricchi che poveri. A livello globale solo un disoccupato su cinque ha accesso ad una qualsiasi forma di indennità di disoccupazione e ben 2 miliardi di persone, a livello globale, lavorano nel settore informale. In maggioranza sono nei Paesi poveri in cui il 90% dei posti di lavoro è informale, rispetto al 18% nelle nazioni ricche.

Come non bastasse il lockdown sta generando uno shock rilevante e diffuso sull’intero sistema produttivo italiano anche secondo le valutazioni dell’Istat. L’Istituto di statistica stima una contrazione fino al 10% dei consumi e del 4,5% del valore aggiunto, parente stretto del Pil, il Prodotto interno lordo. E per l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) andranno in fumo talmente tante ore lavorate che potrebbero essere cancellati 195 milioni di posti.

Nel nostro Paese con un blocco limitato a marzo e aprile si perderebbe il 4,1% dei consumi e l’1,9% del valore aggiunto. Se lo stop dovesse protrarsi anche a maggio e giugno allora gli ammanchi sarebbero più che doppi. Con ripercussioni dirette su 900 mila occupati. Più in generale l’Ilo, che non dimentichiamo è un’agenzia delle Nazioni Unite, prevede che il Coronavirus cancellerà il numero di ore lavorate nel mondo del 6,7% nel secondo trimestre del 2020, pari a 195 milioni di unità a tempo pieno. E già in questo momento più di 4 lavoratori su 5 sarebbero interessati dalla chiusura totale o parziale delle attività produttive. Il direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder, parla di “catastrofe e peggiore crisi globale dopo la seconda guerra mondiale” e raccomanda di agire subito in modo congiunto” e “deciso” per evitare il “collasso”.

Una fascia fragile del mondo del lavoro non reggerebbe senza adeguati paracaduti. Per l’Ilo ammontano a ben 1,25 miliardi le persone impiegate in settori definiti ad alto rischio, dove maggiore è la probabilità di andare incontro a un’ondata di licenziamenti o tagli alle retribuzioni. Molti svolgono lavori poco retribuiti e poco qualificati, dove un’improvvisa perdita di reddito può rilevarsi devastante.

Concludendo quasi 200 milioni di posti di lavoro a rischio nel mondo di cui si teme – secondo diverse istituti – intorno a un milione in Italia se si pensa che solo Unioncamere ne stima nel 2020 come probabili quasi mezzo milione in meno di cui la metà dei quali nel turismo, povertà estrema in aumento in tutti i Paesi. La risposta può essere solo a livello internazionale e nei singoli Paesi: politiche non solo di difesa dell’occupazione ma anche attive, tutela del lavoro ‘sommerso’, conversione di parte dell’economia per frontare l’emergenza sanitaria, ripensamento di alcuni modelli e processi di sviluppo. E’ difficile? Sì, ma possibile.

Angela Bruno

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