Pro Patria, oggi come cento anni fa. Tra “pacioni”, epiche rivalità e Nicolò Carosio

di Vincenzo Coronetti

Qualche anno fa i giornalisti della redazione sportiva della Prealpina, giornale in cui lavorava chi scrive, ingaggiarono un confronto sull’opportunità di dedicare meno spazio alle vicende della Pro Patria. Tra i colleghi c’era chi sosteneva che a fronte dei quattromila spettatori presenti alle partite della locale squadra femminile di pallavolo, in cima alle classifiche della massima categoria nazionale, i mille o poco più che seguivano i biancoblù allo Speroni avrebbero meritato minore attenzione giornalistica. Il ragionamento era basato su un dato statistico, peraltro inconfutabile, che nell’economia di una redazione aveva il suo perché. Ma era un ragionamento tecnico, che dimenticava un aspetto preponderante a Busto Arsizio: il cuore.

In chiaro: la Pro Patria era e rimane un riferimento affettivo per chi a Busto c’è nato o ci vive, al di là delle presenze numeriche allo stadio. Oggi che festeggia il secolo di vita, la società guidata da Patrizia Testa riafferma gli stessi valori identitari: è un pezzo di storia cittadina, che ne compendia la cifra sociale, l’appartenenza a una comunità, a un territorio. Per questo, senza nulla togliere alle altre, pur importanti e gloriose discipline sportive, rappresentate da altrettante degne società, la Pro Patria è Busto Arsizio, ora come un secolo fa.

Gigi Farioli, che è stato sindaco nei due precedenti mandati, ama ricordare una radiocronaca dell’inarrivabile Nicolò Carosio, un Celtic Glasgow – Inter dei primi anni Sessanta. Farioli ne imita anche la cadenza: “Il Celtic scende in campo con la tradizionale maglia a strisce orizzontali, tipo Pro Patria”.

Aneddoto che in un primo momento muove al sorriso, poi fa accaponare la pelle a coloro i quali hanno vissuto quegli anni e a tutti coloro che ne hanno soltanto sentito parlare: quel “tipo Pro Patria” è il segno distintivo, il marchio, la conferma che i biancoblù sono oltre il qui e ora, e si meritano un posto, magari piccolo piccolo, ma neanche tanto, nella storia del calcio italiano.

Benché l’anedottica sfondi anche il muro del lecito. Come quella volta che, in trasferta, fu organizzato un “pacione” (parola bustocca che significa pastetta o accordo). Racconta Gipo Calloni, epico calciatore nostrano, che, in crescendo rossianiano, ma in dialetto stretto, ci riporta indietro nel tempo: “Il nostro dirigente passa la borsa con il pattuito a un misterioso intermediario della formazione avversaria. Comincia la partita, la Pro Patria subisce un primo gol. Guardiamo tutti verso la tribuna in termini interrogativi. Quello fa segno con la mano di aspettare. Pochi minuti e arriva il secondo gol. Stessa scena, dubbi che prendono il sopravvento. Aspettare? Certo, per la terza rete. Occhiate di fuoco verso la tribuna, ma l’intermediario non c’è più”.

Tutto il mondo è paese, si dirà. Basti pensare ai rovesci di un decennio fa, quando la società, a fronte di una squadra capace di far sognare, pomposamente e superficialmente definita “dream team”, ma nelle mani di avventurieri, è stata lì lì per scomparire. Salvata in extremis è rinata sul traguardo del secolo, per rinverdire l’orgoglio bustocco. Lo stesso orgoglio che nelle stagioni dei derby con Varese, i tifosi del capoluogo, nel tentativo di umiliarne la cifra, raggiungevano piazza Garibaldi all’ora dell’aperitivo. Uno di loro abbassava il finestrino dell’Appia e, facendo finta di chiedere un’informazione, “sparava” la domanda: “Che paes l’è quest chi?” Figurarsi, Busto un paese. Così, la vendetta arrivava nel primo pomeriggio durante la partita. Tribuna laterale: nei confronti del terzino che rincorreva l’attaccante (Volpati, del Varese) partiva l’esortazione bastarda.”Scepichi i gambi!”

Mitica rivalità, sul filo della nostalgia, benché anche allora non si disegnava lo scontro fisico. Violenza, certo. Ne sanno qualcosa i tifosi di Legnano, verso i quali l’ antipatia calcistica è rimasta la stessa. Ma qui entriamo in un terreno minato, buono per il sociologo o l’antropologo. Godiamoci invece il compleanno. Mutuando da Gianni Fusetti, un giornalista che prima di essere bustocco era tifoso biancoblù. “Ricordo” diceva Fusetti con malcelata commozione “come nelle domeniche sere tutti in città, anche le signore più anziane, chiedevano a chi tornava a piedi dallo stadio: sa’ a fei a pru patria?” Che cosa ha fatto la Pro Patria? Ha vinto, oggi come cento anni fa. E nonostante, come scrive il principe degli scriba, Gianni Brera, la palla sia rotonda, senza angoli e scivolosa. Un po’ come la vita.

Pro patria biancoblù – MALPENSA24