SPECIALE YOGA Vinyāsa: Coscienza in movimento

speciale yoga vinyasa

di Laura Bertoni
(a cura della scuola Karma Chakra di Gallarate)

Spesso ci sono parole che usiamo nella pratica di cui non conosciamo bene il significato o che ci incuriosiscono. In questo articolo, diviso in due parti, indagheremo il significato e le origini della parola vinyāsa. Un termine che risuona nel nome di alcuni stili di yoga (ashtanga vinyasa yoga, vinyasa flow, vinyasa krama yoga) e citato spesso durante la pratica.

La parola vinyāsa è un termine dal suono esotico ed evocativo che ricorre spesso nella pratica yoga. Nonostante la frequenza del suo impiego, raramente chi pratica può costruirsi un’idea chiara del suo significato, principalmente a causa della molteplicità di contesti in cui l’espressione può venire impiegata. Dar conto della ricchezza dei concetti sottesi al vocabolo richiederebbe una trattazione piuttosto distesa: in questa sede si cercherà di offrire semplicemente un breve compendio rispetto ad alcuni punti focali che il tema – molto più ampio e complesso – racchiude.

Vinyāsa: Un concetto poliedrico

Vinyāsa è un termine sanscrito che possiede molteplici significati. Esso deriva dall’unione di nyasa, che significa “collocare/ posizionare/stare,” e del prefisso vi-, “in modo speciale/in modo perfetto”. Letteralmente, dunque, vinyāsa significa “posizionarsi in modo speciale” o “stare in maniera perfetta”. Per estensione si intende effettuare qualcosa in modo che le singole parti siano collocate in maniera precisa e particolare, come le singole note in una sinfonia, le lettere che compongono una frase, i passi lungo un percorso verso una meta. Il significato più profondo del termine vinyāsa è dunque “posizionare le cose nel luogo a cui appartengono o a cui sono appropriate”.

Il concetto di vinyāsa applicato alla pratica yoga è stato sviluppato nel secolo scorso da uno dei più grandi guru e maestri conosciuti, Tirumalai Krishnamacharya (18 novembre 1888 – 28 febbraio 1989) che sottolineava la necessità di impostare le sequenze secondo questo principio, poiché:

“Come una musica priva di armonia e melodia risulta spiacevole da sentire, la posizione eseguita senza i vinyāsa non dona la salute a chi la esegue” (Krishnamacharya, 2014, p. 67).

Le sue intuizioni in materia sono poi state trasmesse agli allievi, i quali, in varia misura e secondo approcci personali, hanno continuato ad applicarle e a tramandare a loro volta il senso di perfezione e completezza che il vinyāsa conferisce alla pratica:

“Gli asana sono un po’ come le lettere dell’alfabeto. Quando sono messe una dietro l’altra senza senso non producono alcun significato, ma se correttamente ordinate esse formano parole, frasi e magnifiche opere letterarie” (Mohan, 2002, p. 161).

L’unione di respiro e movimento

Sebbene la sua natura sia più complessa, nell’uso comune della pratica yogica, la parola vinyāsa è diventata semplicemente un modo per indicare il collegamento di un asana all’altro attraverso il movimento sincronizzato con il respiro. Nella pratica del vinyāsa, infatti, i movimenti del corpo sono coordinati con un atto respiratorio: ogni movimento avviene durante un’espirazione o un’inspirazione. Di regola, le azioni espansive o di apertura sono iniziate con l’inalazione, le azioni che comportano una chiusura con l’espirazione.

Nell’ashtanga yoga, ogni movimento inserito nella serie è codificato, numerato e strettamente associato a un’inspirazione o a un’espirazione: l’unione di questi 3 elementi (numero, movimento e respiro) costituisce un vinyāsa.

Nell’introduzione del suo volume dedicato a illustrare lo svolgimento delle prime quattro serie, così come appreso sotto l’insegnamento di Pattabhi Jois, Lino Miele ricorda che:

“Comprendevo che la dinamica dell’Asthanga non era data semplicemente da una sequenza di posture fatte in un certo ordine, ma che era il vinyasa a collegare le posture attraverso il respiro e che ogni asana aveva un numero di vinyasa preciso”. (Miele, 2014, p. 8)

David Swenson dà un’iconica definizione del vinyāsa come the marriage of breath and moviment (Swenson 1999, p. 11): un matrimonio dinamico tra il nostro mondo interno e quello esterno. Questa integrazione si manifesta nel momento in cui respiro e movimento cessano di essere entità separate, ma convergono nel creare una sinfonia unitaria (symphony of seamless unity).

In un asana, quando lo sforzo muscolare crea eccessiva tensione, il sovraccarico che si crea è un segnale che non si sta facendo affidamento sul respiro. Durante la pratica, facendo attenzione ai cambi nel ritmo e nella frequenza della respirazione, si possono avvertire i punti dove si è inclini a lasciare andare o, viceversa, dove si pone maggiore resistenza, dove si creano tensioni o dove le emozioni creano blocchi nel corpo.

Sostenere la potenza e la quantità del movimento attraverso la respirazione dona la sensazione di poter assumere una postura quasi senza sforzo.

La rinuncia a stare con forza nella postura consente di ritrovare una dimensione senza confini – meditativa. (Palaci Angelini, 2012, p.119).

“Armonizzare respirazione e lavoro muscolare rende sinfonico il movimento e crea un’eco che resterà con voi tutto il giorno” (Long, 2015, p. 27).

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