Stop alla guerra: diamo retta a Sun Tzu

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Saranno le questioni economiche a fermare le guerre?

di Massimo Lodi

Alla fine prevarrà l’economia. Non è un gran vanto, dirlo. È solo un piccolo realismo. Prevarrà l’economia, e metterà una tregua, se non la fine, alla guerra. Alle guerre. Circola stanchezza, ha ragione la Meloni nel confessarlo in quello sciagurato telescherzo. È la medesima stanchezza di cui raccontano gli americani e gli europei, ai quali ora si unisce il resto del mondo, osservando senz’ipocrisia quanto capita in Medio Oriente oltre che in Ucraina.

Ci sono guerre giuste, come no. Ma ci sono paci ancora più giuste. Oggi ci mancano. Pace non vuol dire inchino degli uni agli altri. Significa trovare una mediazione accettabile per i contendenti. Perché nelle guerre, anche nelle guerre sbagliate, o c’è un vincitore che si porta a casa tutto, e allora parliamo di resa senza condizioni. O questo vincitore non c’è, e allora bisogna negoziare, frammettersi, recedere. Rinunziandovi, si mettono alla fame -per non dire dell’orribile resto- gli attori d’un conflitto. E si mettono a rischio gli spettatori, timorosi di pagare indirette conseguenze.

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Massimo Lodi

Cinico pragmatismo? No. Banale, per quanto cruda, diagnosi. Se è vero, come lo è, che il pianeta rappresenta ormai una globalità; se in tale globalità il batter d’ali d’una farfalla genera effetti da uno stato/continente all’altro; se siamo così interconnessi da non poter isolare un cortocircuito politico-bellico di periferia; se una simile circolarità condiziona il vivere quotidiano di milioni (miliardi) d’individui, come pensare a una confortevole indifferenza di fronte a paesi che bruciano, uomini/donne/bambini che muoiono, civiltà che si combattono augurandosi vicendevole estinzione?

Non è possibile pensarlo. Per ragioni morali, certo e in primis. Per ragioni pratiche, ahinoi e in secundis. Ma ben venga il prevalere delle ragioni pratiche quando aiuti all’affermazione delle ragioni morali. Il fine giustifica i mezzi. Il fine è smetterla con le catastrofi epocali, il mezzo è la scienza della diplomazia, il talento della mediazione. Vanno recuperate personalità in grado d’esprimerli, pur se all’occhio non se ne intravedono di mirabili. In fondo, il problema della complessità d’oggi sta in una risposta semplice: l’assenza di conciliatori/trattativisti degni del ruolo.

La speranza è d’inventarseli in fretta. Così da cogliere l’obiettivo indicato 2500 (duemilacinquecento) anni fa da un tizio che può sembrarci il Laqualunque di passaggio, e invece si dimostrò il genio dell’interlocuzione virtuosa. Si chiamava Sun Tzu, era un generale cinese, scrisse il “Trattato sull’arte della guerra”. Annotando il seguente, fondamentale concetto: la suprema eccellenza consiste nell’infrangere la resistenza del nemico senza combattere. Cioè? Affermare la pace come prosecuzione della guerra con differenti armi. Se no, il collasso dell’economia mondiale farà infinite più vittime di qualunque ostilità regionale. Diamo retta ai cinesi, che la sanno più lunga di noi.

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