Trent’anni di Forza Italia. Non basta l’operazione nostalgia

Alzi la mano chi, perlomeno tra coloro che hanno la passione per la politica, non ricorda come fosse ieri quella sera del 26 gennaio 1994, quando su tutti i TG comparve il sorriso di Silvio Berlusconi che pronunciava la frase passata alla storia, “L’Italia è il Paese che amo“. Per la politica italiana rimarrà per sempre il segno concreto di un cambio di stagione: dalla prima Repubblica travolta da Tangentopoli la nascita di Forza Italia rappresentò l’avvento di una nuova era. Un nuovo linguaggio, dal politichese delle tribune politiche al marketing elettorale fatto di spot televisivi, candidati fotogenici e slogan mutuati dal calcio e dalla pubblicità. Volti nuovi, con l’infornata di figure legate a Publitalia e alla galassia dell’allora Fininvest. Nuove strategie elettorali, come la geniale intuizione del doppio accordo con la Lega di Umberto Bossi e Bobo Maroni al Nord e con il Movimento Sociale di Gianfranco Fini al Centro-Sud.

Poi anche Forza Italia, inizialmente pensata come un comitato elettorale all’americana, fu costretta a diventare un vero partito. Proprio come il Milan berlusconiano del calcio-spettacolo di Arrigo Sacchi e dei tre olandesi, che dopo aver rivoluzionato il mondo del pallone, virò sul pragmatismo di Fabio Capello e Carlo Ancelotti per continuare a vincere. Poi però, come nel calcio, la parabola dei successi di Silvio Berlusconi, ad un certo punto – dopo qualche colpo di coda: da una parte, lo scudetto di Allegri e Ibrahimovic, dall’altra la “remuntada” contro Bersani alle politiche del 2013, quelle della promessa di cancellare e restituire l’Imu sulla prima casa e del fazzoletto che pulisce la sedia di Travaglio da Santoro – si è esaurita e oggi, per rimanere nel parallelo, nemmeno il più strenuo critico del nuovo “boss” dei rossoneri Gerry Cardinale si sognerebbe di fare cambio con la proprietà del Monza di Berlusconi. E oggi Forza Italia nel campionato della politica è un po’ come il Monza, che naviga a metà classifica senza rischiare di precipitare nella lotta contro la retrocessione ma con poche speranze di poter avvicinare la zona nobile per puntare alle coppe europee.

Ora si è aperta la stagione dei congressi, che per il partito azzurro è di fatto una novità assoluta (perlomeno degli ultimi vent’anni) ma la cui concreta attuazione ricorda ancora l’epoca delle scelte cadute dall’alto, mentre il trentennale della discesa in campo di Silvio Berlusconi è stato celebrato con una sorta di operazione nostalgia, che ricorda quegli speciali delle reti Mediaset dedicati ai grandi personaggi che hanno fatto la storia della Tv. Ma alle elezioni europee, per la prima volta, Forza Italia non potrà più contare sulle “magie” del suo leader, che come i Kakà e i Savicevic dei tempi d’oro, ribaltava le partite (elettorali), facendo risalire le percentuali. E l’impressione è che stavolta non basterà il ritorno di un po’ di “vecchie glorie” – ci sono già Letizia Moratti e Gabriele Albertini, ma si vocifera anche di Roberto Formigoni e, alle latitudini varesine, dell’ex leghista Marco Reguzzoni, e magari un domani si parlerà anche dei vari Giovanni Toti e Maurizio Lupi – per far risalire la classifica del consenso. Come per i tifosi del Milan il passaggio di proprietà non ha cancellato trent’anni di emozioni e una bacheca di trofei che in Italia non ha pari, così Forza Italia dovrebbe sforzarsi di archiviare l’era Berlusconi, dando al suo inarrivabile fondatore, e a questi trent’anni di centralità nello scenario politico italiano, il posto che merita negli annali e nei libri di storia.

Perché per tornare a vincere scudetti e a primeggiare in Champions League occorre aprire un nuovo ciclo, una nuova stagione. Trovando una nuova leadership, ma un Donald Trump (o una Nikki Haley) – per fare un parallelo con i Repubblicani americani – non si vede all’orizzonte. Oppure cavalcando nuove idee, e l’esempio potrebbe essere Javier Milei, l’ultraliberista che ha conquistato l’Argentina con un populismo basato sul realismo di scelte impopolari. Occorre insomma pensare in grande e fuori dagli schemi, ma come il Berlusconi del ’94 che rivoluzionava la scena politica, non limitandosi ad una sverniciata effetto vintage e sventolando improbabili obiettivi del 20% come ha fatto a Roma il segretario azzurro Antonio Tajani. Vivacchiare di rendita, tra una competizione al centro con i due litiganti Renzi e Calenda e una rincorsa al sorpasso sulla Lega calante di Salvini, non fa tornare i tifosi allo stadio e nemmeno gli elettori alle urne. Perché alla fine, in politica come nel calcio, conta il risultato.

forza italia berlusconi 30 anni – MALPENSA24