Omicidio Macchi, Binda: “Voglio essere risarcito”. E i giudici litigano tra di loro

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VARESE – «Siamo contenti e questa sentenza ci restituisce fiducia nella giustizia». Stringato ma di peso il commento di Patrizia Esposito e Sergio Martelli, già presidente della Camera Penale di Varese la prima e presidente dell’Ordine degli Avvocati di Varese il secondo, difensori di Stefano Binda, all’indomani della sentenza che definitivamente e con formula piena ha sancito una verità assoluta: Binda non ha ucciso Lidia Macchi nella notte tra il 5 e il 6 gennaio di 34 anni fa.

Tre anni e mezzo di carcere

Binda nei loro confronti ha avuto parole di estrema gratitudine: «Questa vicenda mi ha fatto capire come funziona una parte del sistema nel nostro paese. Io ho avuto loro, la loro passione, la loro professionalità. Ma per chi non ha questa possibilità come potrebbe finire?». Ora si pensa alla causa risarcitoria. Binda è rimasto 3 anni e mezzo in carcere dopo l’arresto nel gennaio 2016: una custodia cautelare “infinita” in una cella nonostante i suoi legali avessero più volte sottolineato come non ne esistessero i presupposti: pericolo di fuga? Non si è mai mosso da Brebbia in 34 anni. Reiterazione del reato? E’ stato arrestato da incensurato. Inquinamento delle prove? Le sentenze d’Appello prima e di Cassazione poi hanno dimostrato che prove da inquinare non ce n’erano.

I testi reticenti “dimenticati”

Ma al di là dello Stato probabilmente chiamato a risarcire Binda dell’ingiustizia patita restano sul tavolo altre questioni aperte. Tutte giudiziarie. Il sostituto procuratore Gemma Gualdi, in primo grado, quello che vide la Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato (Cristina Marzagalli a latere) condannare Binda all’ergastolo, chiese la trasmissione degli atti alla procura in capo a tre testimoni ritenuti reticenti dall’accusa. Tre sentenze li scagionano (persino quella di primo grado) ma il fascicolo è fermo negli uffici giudiziari di Varese. A questo punto la procura potrebbe procedere chiedendo l’archiviazione.

Magistrati e trasmissioni Tv

E poi c’è il capitolo denunce e disciplinari che coinvolgono magistrati e avvocati (uno solo in realtà, Daniele Pizzi, parte civile per la famiglia Macchi nel procedimento) perfettamente ricostruito oggi, giovedì 28 gennaio, sul Corriere della Sera da Luigi Ferrarella. Dopo le motivazioni dell’assoluzione in Appello redatte dalla giudice Franca Anelli i giudici di primo grado Marzagalli e Muscato hanno presentato alla Procura Generale di Cassazione un esposto disciplinare contro le colleghe, e Marzagalli ha anche denunciato la relatrice in sede penale alla Procura di Brescia, lamentandosi di motivazioni «gravemente denigratorie» nel descrivere le toghe di primo grado varesine come giudici supini ai pm, iniqui, dolosamente orientati a condannare un innocente e condizionati da trasmissioni tv.

L’avvocato di parte civile

Anelli ha risposto con una contro denuncia disciplinare. Anelli ha inoltre palesato una doglianza nei confronti delle «Irrituali proteste del Pg Gualdi» in una lettera inviata al Procuratore Generale di Milano che a parere del giudice estensore  potrebbero essere «configurabili come vera e propria interferenza». Altro fronte da maggio 2020 è al Consiglio di disciplina dell’Ordine degli Avvocati, in un esposto della giudice Anelli contro Daniele Pizzi – spiega ancora il Corriere -, di cui taccia l’asserita mediatizzazione del processo e il commento dopo l’assoluzione in Appello («è la 30esima coltellata a Lidia»). I pm di Brescia hanno archiviato il penale, mentre non si conoscono esiti disciplinari.

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