Varese sotto i 400 ricoveri Covid (da 650). «La differenza la fanno i comportamenti»

Il direttore dell'hub Covid dell'ASST Sette Laghi Francesco Dentali

VARESE – Da 650 a meno di 400 pazienti ricoverati per il Covid nel giro di un mese. Nell’hub Covid che è stato il più sotto pressione d’Italia nella seconda ondata, quello dell’ospedale di Circolo di Varese, la discesa dei ricoveri procede gradualmente anche se i dati del contagio, fa notare il direttore dell’hub Francesco Dentali, non sono ancora «così del tutto tranquillizzanti». Ma l’eventuale terza ondata «al di là dei colori, dipende tantissimo dai comportamenti delle persone», spiega il Prof., a proposito dell’ingresso in zona gialla della Lombardia. «La differenza la possiamo fare noi, più che le regole sugli spostamenti fuori dal comune. Io ad esempio lavoro tutti i giorni in area Covid e non ho il Covid».

Dai reparti Covid

È stato l’ospedale Covid con più pazienti ricoverati in Italia, 650 nel picco di novembre, due terzi dell’intera capienza di tutta l’ASST Sette Laghi (circa mille posti letto). «Ora siamo a meno di 400 letti occupati – rivela Francesco Dentali, direttore dell’hub Covid dell’ASST Sette Laghi di Varese – dopo una prima discesa importante, ora è più lenta, anche se per fortuna ci sono meno positivi che arrivano dai pronto soccorso. Speriamo che continui: non solo perché i numeri del picco non sono sostenibili nel medio-lungo periodo, ma anche perché è importante ridurre in maniera sostanziale i numeri per scendere a livelli più gestibili, soprattutto per tutto il resto dell’attività ospedaliera».

Cosa sta cambiando

In questo momento i pazienti Covid sono distribuiti in base ad una logica di intensità di cura: i casi più seri sempre all’hub del Circolo, quelli a più bassa intensità negli altri ospedali “spoke” (in particolare Angera e Tradate), mentre la discesa dei ricoveri ha permesso di liberare Luino e Cuasso al Monte. È cambiata anche la dinamica dell’età media dei pazienti ricoverati, che «ora è tornata ad essere molto elevata», come evidenzia Dentali. «Era molto alta nella prima ondata, si è abbassata con i primi infetti della seconda ondata, visto che il virus circolava meno e lo prendevano le persone che circolavano di più (i giovani), poi questi ultimi hanno infettato i parenti più anziani, che oggi sono le persone più facilmente sintomatiche che vengono ricoverate, così si è tornati ad una età media molto alta».

Le cure: qualità e umanità

«Poi noi curiamo tutti – chiarisce il direttore – per fortuna non abbiamo mai, mai dovuto scegliere chi curare. Grazie ad un’organizzazione programmata per tempo: qui ad esempio non è mai successo di aprire dei reparti dalla sera alla mattina perché i pronto soccorso erano pieni». E di quanto fatto fino ad ora con il suo team il Professor Dentali si dice «orgoglioso». Dopo gli oltre 1300 pazienti della prima ondata, con un picco massimo contemporaneo di 304, siamo già a quasi 2000 nella seconda ondata, in un lasso di tempo più breve. «Per tutti noi è stata una lezione – ammette il direttore dell’hub Covid – la preparazione è fondamentale per mantenere la qualità delle cure ma anche l’umanità. Sono malati che stanno da soli per tanti tempo e vivono un’esperienza umana orribile: prova a stare 15 giorni isolato dal mondo con un casco Cpap in testa. Non basta dire “intanto gli salvo la vita”: l’aspetto umano con il Covid più che con altre patologie non è secondario».

La zona gialla vista dall’ospedale

Di fronte alle discussioni sulla zona gialla, Francesco Dentali ha un atteggiamento pragmatico: «Al di là dei colori, rosso, arancione o giallo – rimarca l’internista varesino – dipende tantissimo dai comportamenti delle persone. È giusto che diano delle regole, ma arrivati qua vanno considerati tanti fattori, di cui noi abbiamo solo parzialmente le competenze per giudicare. Quello che so, e di questo ne sono sicuro, è che al di là delle regole la differenza la possiamo fare noi: se teniamo i comportamenti adeguati, e ormai li sappiamo tutti, e li mettiamo in pratica. Io ad esempio ogni giorno lavoro in area Covid e non ho il Covid».

La coscienza individuale

Così, la terza ondata dipenderà dalla consapevolezza di ciascuno. «Più che stabilire se spostarsi dentro e fuori dal comune, che a Milano vuol dire avere contatti con milioni di persone – fa notare il professor Dentali – chiediamoci se stiamo al bar seduti con 10 persone o a casa di qualcuno in 10 oppure no. E se quando parliamo con un amico teniamo la mascherina o la lasciamo cadere sotto il naso. Se non ci si rende conto che un asintomatico è potenzialmente contagioso, le regole non serviranno a niente. Il comportamento adeguato passa dal fatto di essere convinti che sia necessario». Ma anche dai messaggi che passano nell’opinione pubblica: «Sarebbe servito un linguaggio più coerente. Fin dall’inizio, quando qualcuno diceva che era “poco più che un’influenza”. È un momento in cui quel che si dice ha un peso, e condiziona i comportamenti, perciò le cose vanno dette con attenzione».

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