VISTO&RIVISTO Il mondo dello “show business” spiegato con leggerezza

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di Andrea Minchella

VISTO

ENTOURAGE, di Doug Ellin (Stati Uniti 2004-2011, 96 x 30 min., Sky Italia).

Apparentemente una delle tante serie, datata ormai, che non sa dove collocarsi se nel “teen drama” e nello “show business drama”. In realtà “Entourage” è una preziosa e minuziosa fotografia della Hollywood del nuovo millennio. È un’interessante analisi di tutto quello che circonda la più grande e potente industria del cinema del mondo.

Doug Ellin crea una narrazione epica che, al di la delle vicende dei quattro protagonisti, ci svela le vere dinamiche che si sviluppano dietro le grandi “stars” del cinema mondiale e gli “studios” che ogni anno sfornano migliaia di produzioni, dalle più originali e indipendenti, ai giganteschi “blockbuster” che tra incassi e merchandising creano un giro d’affari pari al prodotto interno lordo di un qualsiasi stato africano. “Entourage” ci porta negli studi cinematografici, nelle feste più “cool” e nelle agenzie più potenti che diventano la struttura portante non solo della vita di un grande film, ma anche dell’esistenza quotidiana dell’attore che di quel film è il protagonista. Con tutte le conseguenze che derivano da un mondo che è disposto a tutto per accaparrarsi la sceneggiatura meglio scritta, il regista più quotato o l’attore che sta per esplodere nella sua bravura e nella sua unicità.

La serie, che si sviluppa in 8 stagioni, si incentra sulle vicende di quattro ragazzi che dalla provincia si ritrovano catapultati nella Los Angeles che conta, in quella “mecca” che trasforma in oro l’immaginazione collettiva del pubblico di tutto il mondo. Vincent Chase è diventato nel giro di poco tempo un attore ricercato e pagato profumatamente. Ancora abbastanza adolescente, Vincent decide che il suo staff personale sarà composto da suo fratello Drama, un bravissimo Kevin Dillon, il suo amico di sempre Eric e da Turtle, un altro suo amico dei tempi della scuola. I quattro, provenienti dal Queens, sembrano adeguarsi subito al ritmo frenetico e pericolosamente schizofrenico della Los Angeles cinematografica. Eric, che fa anche il manager all’evanescente Vincent, deve rapportarsi con il cinico e incontenibile agente Ari che, con la sua agenzia florida, cerca di trovare i migliori ingaggi per il suo bello e giovane cliente. La narrazione, seppur con diverse sbavature di scrittura e di scelte di attori più o meno adeguati per i ruoli, si snoda tra vicende verosimili in cui spesso troviamo i veri protagonisti del cinema americano degli ultimi anni che interpretano sé stessi. E questa trovata rende l’intero progetto interessante e più realistico di quello che può sembrare.

Prodotto da Mark Wahlberg, le vicende dei quattro ragazzi riprendono in parte le prime fasi della carriera dello stesso Walhberg che sin da giovanissimo si è ritrovato a tentare il successo nella musica rap, con lo pseudonimo di Marky Mark, nella moda, come modello per Calvin Klein, e nel cinema, memorabile una delle sue prime interpretazioni in “Boogie Nights” di Paul Thomas Anderson.

Nel 2015 Doug Ellin decise di realizzare un film che riprendesse le vicende dei protagonisti più adulti in cui Vincent è alle prese con un nuovo progetto in cui sarà attore ma anche regista. Il film non è riuscito, però, a soddisfare le aspettative di un pubblico, eterogeneo e abbastanza adolescente, della lunga e più fortunata serie la cui prima stagione era stata editata più di dieci anni prima.

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RIVISTO

I PROTAGONISTI, di Robert Altman (The Player, Stati Uniti 1992, 124 min.).

Un capolavoro targato Altman. Dietro la storia del protagonista e del suo “stalker” segreto, Altman ci regala un particolareggiato e cinico affresco della grande, potente e spietata industria del cinema. Il regista mette su pellicola il buon romanzo di Michael Tolkin e lo trasforma in un’appassionante avventura in uno degli ambienti più violenti e torbidi del mondo moderno. Un epico Tim Robbins si muove dentro una vetrina incredibilmente numerosa di attori che costruiscono un progetto potente e corale sull’industria che pone le sue radici nella finzione e nell’apparenza. Tanti gli attori che interpretano sé stessi che rendono questo racconto come una cronaca vera sulle dinamiche che si nascondono tra le strade della Los Angeles più “glamour” e più compulsiva. Da rivedere per la minuziosa ricostruzione di una Los Angeles che, forse, non c’è più.

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