VISTO&RIVISTO Da una storia di dolore e morte sboccia la vita

vizio speranza minchella

di Andrea Minchella

VISTO

IL VIZIO DELLA SPERANZA di Edoardo de Angelis (Ita 2018, 90min).

Intenso, evocativo, poetico, struggente, biblico. Difficile descrivere questo capolavoro del nuovo neorealismo italiano. Un De Angelis potente che scrive, prima, e dirige, poi, un elegante e maestoso film sulla società contemporanea, tratteggiandone i caratteri più duri e disumani. Una storia in cui ogni cosa vive in continua contraddizione: i buoni diventano cattivi, gli uomini diventano bestie, gli animali sono meglio degli esseri umani, le donne sono uomini, i neri sono i nuovi bianchi.

Un continuo scambio di ruoli che genera una delirante confusione in cui ogni forma di vita trova la giusta collocazione. Il luogo-non luogo in cui la vicenda umana si svolge sembra essere la periferia più estrema di una qualsiasi città perduta del mondo. Che si svolga a Castel Volturno lo si capisce da una scritta rosso sangue che squarcia il cielo violaceo delle albe e dei tramonti che si susseguono senza una minima variazione, e dal dialetto crudo e asciutto che articola i dialoghi tra le donne, vere protagoniste del film.

Maria, il personaggio principale, assume molti dei ruoli che la letteratura mondiale ha creato dall’antichità ad oggi: oltre ad essere la Maria biblica generatrice di vita, sembra impersonare Dante, con il suo fidato Virgilio, che attraversa i gironi peggiori dell’Inferno terreno. La vediamo anche su una barca, come il Caronte dantesco, che traghetta anime ormai perdute da una sponda di vita ad una sponda di morte. In un caso però, quando la speranza incomincia ad insinuarsi nella sua anima, percorrerà il tragitto inverso: una donna destinata all’oblio, viene trasportata sulla sponda della speranza, della vita.

Ed è infatti un concetto semplice ma nello stesso tempo carico di responsabilità che può dare la svolta ad una storia di morte e dolore: la vita. Solo con l’insinuarsi dell’idea della vita, la vicenda imbocca una nuova e illuminata strada da percorrere.
Un ruolo simbolico e centrale viene dato agli animali che, appunto, sembrano essere i veri umani della storia. Oltre al cane di Maria, fidato compagno di viaggio, nel luogo di morte più inquietante che regista italiano abbia mai raccontato, viene tenuto prigioniero un maestoso cavallo nero che ha la stessa criniera, nera e libera, della piccola e sola Maria.
Un inatteso film sulla fragile ma ostinata speranza che l’uomo moderno sembra ancora conservare nel profondo della sua anima.

RIVISTO

GUMMO di Harmony Korine (Stati Uniti 1997, 89 min).

Per chi, nel mondo, pensava che l’America fosse solo quella di Wall Street, Los Angeles, New York, Boston, Chicago o Washington, nel 1997 Harmony Korine, indipendente quanto poetico giovane regista americano, confeziona il mitico” Gummo” che in maniera dura e asciutta racconta della desolazione della vera provincia americana, dove il sogno del boom industriale e del New Deal non è mai arrivato. Una provincia, quella finemente tratteggiata da Korine, dove già da bambini si deve fare i conti con una vita che non intende regalare nulla.
Ma anche in questa storia la speranza, unica arma che alcuni essere umani sembrano possedere nel profondo del loro cuore, regala una, seppur lieve, carezza al giovane protagonista mentre viene lavato in una vasca, troppo grande per il suo corpo gracile, da una madre dolce, ma comunque troppo assente e perennemente distratta.

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