VISTO&RIVISTO Non puoi svegliarti se non ti addormenti

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di Andrea Minchella

VISTO

ASTEROID CITY, di Wes Anderson (Stati Uniti 2023, 104 min.).

Wes Anderson. O lo ami, o lo odi. Anche se il suo manierismo a volte supera la storia, non si può negare che i suoi film non siano un’esperienza che va vissuta fino in fondo, in ogni suo aspetto, in ogni piega, anche minima, che la pellicola compie durante la narrazione. Il cinema con la C maiuscola, che può non piacere, ma che svolge la sua missione di puro intrattenimento, catapultando il pubblico in una dimensione artificiale, quasi onirica, che trasforma ogni personaggio in una sorta di elemento ancestrale di una più grande iconografia del desiderio e del rimpianto umano.

Anderson ritrova una concentrazione artistica pura e cristallizzata che sorregge una costruzione geometrica di un racconto apparentemente assurdo ma molto agganciato al vissuto e alle paure dell’autore statunitense. Dopo il caotico e strabordante “The French Dispatch”, Anderson qui asciuga la storia da un eccessivo impianto stilistico, quasi barocco, a favore di una storia semplice con personaggi limpidi ed essenziali. La linearità della narrazione diventa scenografia colorata e strutturata spazialmente da una geometria ossessiva e finemente equilibrata. Le inquadrature diventano spesso parte integrante di una traiettoria stilistica fatta di spazi e volumi che si intrecciano poeticamente con i movimenti impercettibili dei personaggi. Come una sorta di preveggente, Anderson inserisce nel suo film i due grandi elementi del cinema di quest’estate. I colori accesi e didascalici di “Barbie” con lo spettro non troppo lontano dei test nucleari di “Oppenheimer”. E lo fa con una disinvoltura tanto eccentrica quanto raffinata.

“Asteroid City” diventa una grammatica preziosa dell’arte e della paura di perdere l’ispirazione. Anderson mette in scena una rappresentazione teatrale trasformandola in una rappresentazione televisiva, mischiando i due piani narrativi in maniera originale e inedita, creando una “matrioska” di immagini e sensazioni che custodisce il senso di una pellicola come questo. E giudicarlo come fosse un film rischierebbe di azzoppare un prodotto artistico che può non convincere ma di cui va riconosciuto il nobile e ambizioso scopo di essere arte pura e sincera creata per intrattenere e per farci evadere da un mondo sempre più cupo di quello che viene raccontato.

Il cast, come spesso accade, è più un gruppo di amici che si mette al servizio del visionario Anderson. Tom Hanks si aggiunge alla comitiva di attori mostrando un aspetto inedito della sua poliedricità.

L’alieno come l’ignoto è un “topos” che il cinema ha sempre utilizzato. E Anderson, dunque, decide di trasformarlo nella cornice della sua storia che si immerge nell’America sognatrice e un po’ superficiale degli anni cinquanta. Tratteggiandone gli aspetti che tanto somigliano alla società contemporanea che sembra, sempre più, essere impantanata in una crisi universale di valori e di identità. Anderson usa la società americana degli anni cinquanta come prisma per sollecitare le contraddizioni del mondo che ci circonda, e per cristallizzare la difficoltà degli artisti a raccontare il mondo di oggi. Lo fa con una grammatica e una scenografia che diventano coscienza collettiva del pubblico in sala, che si fa accompagnare, come fosse un bambino, dentro una storia laica e carica di speranza.

Alla fine del film, come succede alla maggior parte dei personaggi, abbiamo qualche dubbio in più e qualche certezza in meno. La coperta “episcopale” è diventata troppo corta per spiegare quello che ci circonda. Ci sembra di aver dormito. Ci sembra di aver sognato un mondo un po’ diverso dal nostro, ma con le stesse e incomprensibili contraddizioni. Ma ne vale la pena perché solo se ti addormenti puoi risvegliarti.

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RIVIST0

INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO, di Steven Spielberg (Close Encounters of the Third Kind, Stati Uniti 1977, 135/132/137 min.).

L’ignoto come paura che ci portiamo dentro. L’ignoto come il volano della speranza e della fantasia. Steven Spielberg prende le misure per il futuro “E.T.” con un racconto intimista e poetico che sfiora l’anima di ogni spettatore.

Gli alieni dell’astronave incontrano l’alieno del cinema europeo, Francois Truffaut, dando vita ad una epifania iconografica fatta di emozioni e di esperienze che sfiorano il divino. Da rivedere ogni volta come fosse la prima.

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