VISTO&RIVISTO Una poetica faccenda di donne e di parole

minchella figlia oscura

di Andrea Minchella

VISTO

LA FIGLIA OSCURA, di Maggie Gyllenhaal (The Lost Daughter, Stati Uniti- Israele 2021, 121 min.).

Fare meglio del libro. Non era facile, anzi. Quando il libro lo scrive Elena Ferrante l’operazione di trasposizione è sempre molto complicata. Se penso al “I Giorni dell’Abbandono”, di Roberto Faenza, le parole della Ferrante hanno faticato a trasformarsi in immagini per un ottimo progetto, sulla carta, che però non è stato in grado di decodificare la potenza scenica della “sconosciuta” scrittrice. Guardando la maestosa produzione de “L’Amica Geniale”, già realizzata da Saverio Costanzo e da Daniele Luchetti, mi accorgo di un lavoro di qualità, certo, ma anche di una struttura molto convenzionale giustificata, in parte, da una proiezione “popolare”, come avveniva per i bellissimi sceneggiati che negli anni settanta hanno creato la grandezza della Rai.

Il lavoro della bravissima Maggie Gyllenhaal è sincero, graffiante e misurato come se Elena Ferrante avesse scritto il libro pensando proprio alla trasposizione che la regista americana è stata in grado di realizzare. Partendo dalla scelta accurata ed azzeccata del cast, ogni faccia è perfettamente funzionale al personaggio egregiamente dipinto dall’autrice del libro, fino alla inedita ambientazione in Grecia, e non in Italia come invece accade nel libro, la giovane regista, alla sua prima opera, riesce a tradurre in immagini, in sequenze, in inquadrature e in scene, l’intricata e complessa vicenda di Leda e del suo passato di mamma e di docente di letteratura.

La Ferrante inserisce tutta una serie di indizi precisi e univoci che la Gyllenhaal riprende fedelmente e rielabora con un’intelligenza artistica di una strutturata veterana della grammatica cinematografica. La vicenda, misteriosa per certi aspetti, viene permeata da un’atmosfera indefinita che lascia lo spettatore nella condizione di analizzare attivamente tutte le sfaccettature della personalità di Leda e tutte le dinamiche delle vicende in cui Leda si trova ad essere coinvolta. La potenza dell’immagine si fonde con la magia delle parole che nella letteratura e nella poesia diventano epica delle vicende umane più profonde. La giovane Leda studia e analizza, comparandole fra loro, le letterature che hanno dato vita al linguaggio ed al pensiero contemporaneo.

La parola e il suo potere diventano, grazie alla capacità analitica della Gyllenjaal, immagini e costruzioni scenografiche che si incastrano perfettamente tra loro, creando un flusso di coscienza collettivo in cui i personaggi della storia si fondono l’uno con l’altro. La narrazione non stanca mai, e la vicenda appassiona anche se non si è letto il libro. I ricordi di Leda e il presente di Leda sono chiaramente suddivisi su due piani narrativi ben delineati. Olivia Colman, che interpreta Leda, ci regala un’interpretazione strepitosa e angosciante nello stesso tempo. La corporalità dell’attrice diventa pilastro centrale di tutta la vicenda. Bravissima anche l’enigmatica Dakota Johnson che interpreta una donna sensuale e innocente, che scardina ogni piano sequenza della regista. Jessie Buckley, la giovane Leda, interpreta egregiamente una mamma confusa e dirompente, che non ha certezze ma che brama la felicità e la libertà.

Ed Harris e tutto il cast apportano, infine, una necessaria e autentica linfa vitale che rende profondo e iconografico l’intero progetto della regista statunitense. Maggie Gyllenhaal prende una storia che ruota attorno alla figura di Leda e la trasforma in un’interessante viaggio nel complesso e spesso indecifrabile mondo femminile, dove le dinamiche sono complicate e poco conosciute dal mondo maschile che, come nel film viene bene sottolineato, rimane in disparte e svolge una mansione prettamente corporale e fisica. La visione più letteraria e poetica della presenza femminile nel mondo e nelle vite di ognuno di noi trasforma ogni inquadratura in un manifesto universale della potenza, della sofferenza e della grandezza della donna, generatrice e tutrice dell’intera umanità.
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RIVISTO

L’ATTESA, di Piero Messina (Italia- Francia 2015, 100 min.).

Un segreto, un’attesa, un mistero. Messina racconta una vicenda dolorosa e misteriosa allo stesso tempo. La bravissima Juliette Binoche si carica sulle spalle un’opera originale e piena di significati. La sua interpretazione mette in sospeso ogni giudizio, ogni analisi, ogni riflessione che vorremmo esprimere ma che non riusciamo poiché veniamo travolti dal dolore e dall’inquietudine che il regista riesce egregiamente ad esprimere con la sua opera. Un viaggio silenzioso nei meandri del dolore che riguarda ognuno di noi e che diventa spesso terra ignota nella quale difficilmente si possono trovare risposte chiare ed esaurienti. Da rivedere.

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