Egregio direttore,
le scrivo per ricordare che proprio oggi ricorre la data della resa delle forza armata germanica a Stalingrado, il 3 febbraio del 1943, resa che concluse uno dei momenti più salienti della Seconda guerra mondiale.
Infatti, fu a partire da quella sconfitta sul territorio russo, invaso dalle truppe del III Reich nazista e dai suoi alleati, italiano compreso, Benito Mussolini che si ebbe la consapevolezza che le sorti della barbaria hitleriana erano segnate da una definitiva sconfitta.
La presente disamina, può certamente avere inizio dalle valutazione che l’allora Stato maggiore dell’Armata Rossa dava della situazione, ed in modo particolare dell’esame che Stalin dava dell’invasione germanica in territorio russo; per Stalin era un momento drammatico: la città che portava il suo nome era minacciata, Stalingrado, l’esercito appariva scoraggiato, i tedeschi invincibili, gli alleati anglosassoni sembravano osservare la situazione: nessun Secondo fronte in Europa nel 1942. Nonostante i progetti di Marshall e Eisenhower per intervenire subito in Francia per alleggerire la pressione sui Russi, Churchill, sempre timoroso dei tedeschi e forse desideroso di un dissanguamento reciproco russo-tedesco, ebbe partita vinta con Roosvelt e impose l’abbandono dei piani americani e l’adozione del piano di sbarco in Nordafrica.
Il 28 luglio Stalin emanava il suo famoso ordine del giorno “Non un passo indietro”: era l’inizio della ripresa militare, organizzativa e morale dell’Armata Rossa; fin dal 17 luglio era cominciata la dura e sanguinosa battaglia di Stalingrado.
Il 23 agosto i tedeschi raggiunsero il Volga ma la resistenza sovietica fu subito tenace, Stalin mobilitò tutte le risorse, nella città, aspramente difesa dalla 62 Armata del generale Vasilij Cujkov , infuriò per due mesi una violenta battaglia stradale che dissanguò la potente 6 Armata tedesca del generale Fridrich Paulus. Contemporaneamente anche nel Caucaso l’avanzata tedesca rallentava (nonostante alcuni spettacolari successi propagandistici tedeschi come la scalata del monte Elbrs in agosto) e finiva per fermarsi alle porte di Groznij e di Tiblisi e Tuaps, esaurita dalle prime intemperie, dalle difficoltà del terreno e dalla tenace difesa sovietica.
A metà novembre i tedeschi si erano avvinghiati in un sanguinoso scontro a Stalingrado e bloccati definitivamente nel Caucaso, ridotti alla difensiva su tutto il resto del fronte Orientale. Il fronte dell’Asse si estendeva pericolosamente su quasi 3.000 km, con i due raggruppamenti più potenti bloccati a Stalingrado e nel Caucaso. Il pericolo principale risiedeva nel lungo fianco settentrionale sul Don; ma Hitler decise di mantenere le posizioni raggiunte (del resto anche molti generali tedeschi ritenevano l’Armata Rossa ormai indebolita ed incapace di offensive strategiche. Al contrario Stalin e i suoi generali più importanti (Aleksandr Vasilevskij e Gerogij Zukov) già da settembre avevano iniziato ad organizzare grandi controffensive, previste per la fine dell’autunno e l’inverno per ottenere una vittoria decisiva e rovesciare completamente l’equilibrio strategico sul fronte orientale. Erano, appunto, le offensive “planetarie” dell’Armata Rossa, denominate con nomi, non a caso, di pianeti, per sottolineare il massiccio numero di forze impiegate.
Le colonne corazzate sovietiche avanzano nella neve durante l’operazione “Piccolo Saturno”, e il 19 novembre 1942 si scatenava l’”operazione Urano”: in cinque giorni i corpi meccanizzati sovietici travolsero le difese tedesco-rumene sul Don, sbaragliarono le riserve corazzate tedesche e si congiunsero a Kalac (23 novembre), accerchiando completamente la 6 Armata tedesca bloccata a Stalingrado (quasi 300.000 uomini). Mentre falliva l’”Operazione Marte” sulla direttrice di Mosca, a metà dicembre Stalin sferrò il nuovo attacco sul Don (operazione Piccolo Saturno), mentre i tedeschi tentavano disperatamente di venire in soccorso delle truppe rimaste accerchiate a Stalingrado anche per ordine di Hitler (risoluto a tenere le posizioni sul posto fino all’ultimo). La catastrofe colpì in pieno anche le truppe italiane del corpo di spedizione in Russia (impiegato fin dal 1941 come CSIR e rinforzato nel 1942 come l’8 Armata o Armir), schierate a difesa del Medio Don con mezzi e equipaggiamenti inadeguati. Dal 19 dicembre la ritirata degli italiani, inseguiti nella neve dalle colonne corazzate sovietiche, si trasformò in tragedia (quasi 100.000 perdite). Alla fine dell’anno la situazione dell’Asse sul fronte orientale era molto critica: la 6 Armata tedesca accerchiata a Stalingrado, isolata, affamata e ormai senza più speranze, le truppe satelliti rumene e italiane in rotta, l’esercito tedesco nel Caucaso in piena ritirata (dal 30 dicembre) per evitare un nuovo accerchiamento, i sovietici in avanzata generale. L’Asse perse circa 1 milione di uomini tra il novembre 1942 e il 2 febbraio del 1943, data della resa definitiva a Stalingrado.
I rovesci dei tedeschi in Russia e degli eserciti italo-tedeschi in Africa settentrionale fecero riflettere Mussolini; Hitler lo aveva invitato a Salisburgo per la metà di dicembre per un colloquio, e il « duce » aveva inizialmente accettato, ma incaricò Ciano a rappresentarlo; soffriva di stomaco, per questo Mussolini declinò la sua presenza, diede però a Ciano il compito di riferire a Hitler che era giunto il momento di non proseguire ulteriormente sul fronte orientale visto le ingenti perdite di uomini e mezzi e quindi la necessità di venire ad un’intesa con Stalin e di concentrare le forze dell’Asse per la difesa del resto dell’Africa settentrionale , dei Balcani e dell’Europa occidentale. « Il 1943 sarà l’anno dei grande sforzo anglo-americano », disse a Ciano.
Hitler, in seguito, non poté lasciare il suo quartier generale dell’Est per incontrare Mussolini; fu quindi Ciano, che invece di quest’ultimo, il 18 dicembre fece il lungo viaggio fino a Rastenburg e riferì al capo nazista le proposte del «duce ». Hitler le respinse e assicurò il ministro italiano degli Esteri che senza indebolire affatto il fronte russo poteva inviare altre forze nell’Africa settentrionale, la quale, egli disse, doveva essere tenuta. Malgrado le assicurazioni e la fiducia di Hitler, Ciano trovò il quartier generale germanico assai depresso.
“L’atmosfera è pesante. Forse alle non buone notizie si aggiunge la tristezza di quella foresta umida e la noia della vita collettiva nelle baracche… Non si è nascosto né a me né ai miei collaboratori il disagio per le notizie della rotta sul fronte russo. Si tendeva apertamente a darne a noi la colpa”.
Uno dei componenti del gruppo di Ciano chiese a un ufficiale dell’OKW tedesca se gli italiani avevano subito gravi perdite, la risposta fu: « Nessuna perdita: scappano» (William L. Shirer, Storia del III Reich, p.1415), ciò non era vero, le perdite italiane c’erano e scappavano anche i reparti tedeschi. Ma ciò la dice lunga di cosa pensavano i tedeschi dei reparti italiani sul fronte orientale.
I reparti italiani erano stati mandati in quel territorio, distante miglia e miglia di chilometri dall’Italia, senza il dovuto equipaggiamento, pochi camion, pochi mezzi blindati, indumenti completamente inadeguati, a piedi dovettero raggiungere il fronte, quasi 1000 chilometri e a piedi, pochi mesi dopo, in pieno inverno se ne dovettero ritornare, e molti di questi non tornarono; la ritirata di Russia fu un ecatombe, una immensa lastra di ghiaccio lunga 700 chilometri inghiotti migliaia e migliaia di vite umane.
L’ennesimo bluff di Mussolini non funzionò, l’esercito italiano era stato mandato ad occupare un paese autonomo ed indipendente, e gli italiani dovevano rispondere “all’imperioso” comando del III Reich, di Hitler, un comando che si portava appresso il lebensraun, cioè lo spazio vitale della grande Germania, Germania tutta tesa a trasformare qualsiasi territorio europeo in un immenso, “suo”, magazzino di risorse per il suo sforzo bellico, e gli altri popoli dovevano essere i nuovi moderni schiavi, prima da sfruttare con un lavoro schiavile e poi da eliminare, e primi nella lista erano gli ebrei, ma poi, sarebbe toccato a tutte le popolazioni slave ( Hitler fece le prime esperienze sulla pelle degli stessi tedeschi, eliminando, in nome della razza ariana i portatori di handicap).
La Russia invasa dal III Reich nazista e dal suo alleato fascista ebbe una cosa come 22 milioni di morti, con la parte europea completamente rasa al suolo. Qui, il ricordo deve essere dato al popolo russo, popolo che in condizioni impossibili riuscì a fermare prima l’avanzata germanica e poi a ricacciarla da dove era partita. Importante il ruolo avuto dai partigiani sovietici che combatterono nelle retrovie, alle spalle dell’invasore germanico e dei suoi alleati, azioni che certamente facilitarono le offensive dell’Armata Rossa.
Molti dei soldati italiani ritornati dal fronte russo vennero prima internati, non si voleva che comunicassero quanto avevano vissuto ai loro familiari, alla popolazione italiana, molti di questi, dopo l’8 settembre del 1943 passarono nelle file della Resistenza italiana, divennero anche comandanti militari della stessa, molti combatterono sin da subito, altri furono deportati -quasi 600.000-in Germania , per cui, è apparso, a mio modo di vedere, molto discutibile quanto è apparso recentemente su un quotidiano locale, dove si ricorda il sacrificio degli Alpini in Russia, con affermazione del tipo “ i russi invadevano le nostre posizioni” quando chi invadeva e distruggendo città e popolazione inerme, era proprio il corpo di spedizione militare in Russia, alleato di una Germania che aveva come finalità la eliminazione fisica di intere popolazioni, ebrei, zingari e slavi, in nome della “Spazio Vitale” del III Reich nazista . Per cui risulta irricevibile quanto è stato scritto nel sopracitato articolo, inaccettabile soprattutto la torsione nazionalista per niente rispettosa del sacrifico dei soldati italiani consegnati dal fascismo italiano ad un piano di sterminio di massa, ma visto prima nella storia d’Europa, appunto quello nazista . Invece proprio a tal proposito vale la pena ricordare un altro fulgido esempio di uomo d ‘arme profondamente consapevole del sacrificio toccato ai soldati italiani, Alpini compresi, in quella terra, nella terra dell’Unione delle Repubbliche Sovietiche, che nulla aveva fatto contro l’Italia, ma che aveva dovuto subire la distruzione di quasi tutto il suo territorio europeo, con la perdita di più di 22 milioni di persone, si parla di Mario Rigoni Stern, l’autore del “ sergente della neve”, di un uomo che al ritorno da quella tragica vicenda ha scelto la militanza antifascista, la Resistenza,” forse” anche di questo c’era bisogno di scrivere a proposito della manifestazione sul Sacro Monte a Varese, ed è invece colpevolmente mancato.
In conclusione appare giusto ricordare, ai più che in conseguenza di quella vicenda storica in cui ha visto coinvolto l’Italia, quella fascista, che non ha caso la Repubblicana, nata dalla Resistenza, nella sua Costituzione ha posto, così come si recita nel primo comma dell’Art. 11:” L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali(…)”, ciò deve essere sempre ricordato, soprattutto in quest’ultimo frangente della nostra storia recente.
Cosimo Cerardi
(PCI – Provincia di Varese)