di Gian Franco Bottini
Renzi, Salvini, Berlusconi e altri leader nazionali, per non parlare dei più modesti esponenti locali, da tempo non tralasciano mai, nelle loro esternazioni, di inviare messaggi di seduzione e blandizia nei confronti di non ben identificati “civici” oltre ad accorati inviti a “ritornare all’ovile”, quasi questi fossero pecore impazzite sfuggite ai loro naturali pastori che ora soffrono per la loro lontananza .
Ognuno dei suddetti leader avrà sicuramente nella testa la propria personale definizione di “civici”, ma siamo certi che l’ elemento che sicuramente accomuna tutte le diverse interpretazioni del termine è il seguente: i “civici” sono portatori di voti da catturare; voti di comuni cittadini facenti parte di quell’alta percentuale di astensionismo nascente dalla sfiducia e dallo scontento verso la politica, che è un modo sbrigativo per dire verso i Partiti.
Preoccupazione legittima, quella dei Partiti: si avvicinano le elezioni Europee e molte poltrone sono in ballottaggio. Quello che c’è di nuovo è che queste elezioni europee certamente non arriveranno, come nel passato, mal sopportate e snobbate; troppi sono oggi i motivi di attenzione della gente perché il voto europeo del prossimo maggio sia anche questa volta sottovalutato.
Per prima cosa non può sfuggire che i due partner di governo si stanno controllando fra loro proprio in previsione di quella tornata elettorale e portano avanti un programma più in competizione che in sintonia, proprio come succede in ogni campagna elettorale che, come si sa, è piena di promesse e “perdonabili” bugie. Peccato che in questo caso la gente potrebbe far fatica a perdonare, perché la strada da qui a maggio è ancora lunga e i danni nel frattempo prodotti su economia e risparmi potrebbero essere pesanti.
In secondo luogo è oramai chiaro da tempo che questa Europa va sicuramente difesa nella sua integrità ma sostanzialmente cambiata, con una non semplice operazione di rafforzamento dei legami e della solidarietà fra i Paesi aderenti ma con un contestuale riallineamento della pari dignità degli stessi e una comprensione delle loro diversità economiche e sociali.
Non siamo evidentemente in grado di valutare il saldo costi/benefici dei nostri rapporti con l’Europa, ma di sicuro possiamo dire che su certe questioni , come l’immigrazione, e certe aree economiche, come agricoltura,valimentare ed altro, il segno è per noi senz’altro negativo.
A questo punto però ci pare cosa legittima porci una domanda . E’ solo l’Europa che deve cambiare o per caso alcune responsabilità sono anche nostre e qualche sostanziale cambiamento va fatto anche in casa nostra?
Più di qualche dubbio viene vedendo gli scarsi risultati ottenuti nella difesa del “made in Italy” in generale e dei nostri prodotti agricoli ed alimentari in particolare, pur rappresentando, questi ultimi, delle voci che in periodi difficili hanno sostenuto egregiamente la nostra bilancia commerciale. Eppure abbiamo visto nel passato alcuni nostri ben noti rappresentanti fortemente impegnati nella discussione sulle misure dei cetrioli o dei pomodori e molto meno determinanti quando, per esempio, si è trattato di difendere i nostri formaggi doc (e fatti di latte controllato!) di fronte a una norma che consentiva ad altri di farci concorrenza con prodotti fatti con latte in polvere.
Non è che, a partire da tempi lontani, abbiamo considerata l’Europa il luogo di un “secondo lavoro” molto ben remunerato per politici già abbondantemente impegnati in Patria o addirittura un comodo rifugio per politici “decotti”? Non è che i nostri rappresentanti di lungo corso, quelli che avrebbero dovuto guidare i neofiti, si sono via via adagiati in una comoda culla burocratica, molto più attenti alle loro posizioni personali che non alla difesa degli interessi del Paese?
E allora, riprendendo il nostro discorso iniziale, questi dubbi sono oramai diffusi fra la gente e bene farebbero i partiti, se vogliono riportare le pecorelle all’ovile, a prenderne atto, cercando di ridurre l’apporto dei soliti “candidati di professione” e appoggiando la candidatura di persone di “arti e mestieri”, in grado di rappresentare il nostro Paese con la competenza e la caparbietà di chi è abituato, perché li conosce, ad affrontare i problemi.
Per concludere infine sarà bene ricordare a chi si vuole proporre come pastore che, nella notissima parabola, la pecora smarrita non tornava da sola all’ovile ma era il pastore stesso che, prendendosi il rischio di lasciare incustodito il resto del gregge, si faceva in quattro per andare a cercarla.
Pecorelle smarrite bottini – MALPENSA24