Da Alitalia a Ita continua il tradimento di Malpensa

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C’era una volta Malpensa 2000, un hub da 24milioni di passeggeri all’anno che batteva bandiera tricolore, quella di Alitalia. Dal dehubbing è iniziato il lento disimpegno, fino alla clamorosa soppressione dello storico collegamento su Roma, risalente a settembre 2020. Oggi la compagnia di bandiera è inesistente sul secondo aeroporto italiano. Un’anomalia a cui porrà rimedio da aprile nella nuova veste, Ita Airways, quando tornerà in brughiera esclusivamente per il volo diretto su New York. Si tratta di un solo collegamento, peraltro servito da altre sei compagnie, probabilmente utile per le casse aziendali ma ininfluente per l’economia di Malpensa e l’espansione del suo network. 
Di fatto, che la nuova Alitalia ci sia o meno, ormai non conta più nulla. Dopo aver rischiato il tracollo nel 2008 proprio a causa di Alitalia, Malpensa da anni ha imparato a farne a meno. 
Nessuno si era illuso che con la nascita di Ita Airways potesse cambiare qualcosa nelle strategie romane, dove lo scalo varesino continua a essere visto come un corpo estraneo, financo un fastidio, lasciando così alla concorrenza straniera campo aperto per collegare il Nord Italia (una delle aree più ricche d’Europa) con il resto del mondo.
Da Alitalia a Ita Airways perlomeno un segno di discontinuità sembra esserci. Ed è la chiarezza.
Il nuovo management lo ha detto sin dal primo momento: l’hub a Fiumicino, Linate come base strategica in Lombardia e Malpensa semmai per qualche opportunità che dovesse profilarsi nel settore cargo. Potrà sembrare assurdo, ma è un cambio di passo notevole, perché l’arretramento di Alitalia finora era stato costellato di promesse (e investimenti) concomitanti e in controtendenza, degni delle peggiori farse. Un esempio? Nel 2016 mentre il vettore tricolore dava l’ennesima sforbiciata alle destinazioni servite da Malpensa, l’allora ad Cramer Ball al Terminal 1 inaugurava la esclusiva lounge della compagnia aerea, Casa Alitalia, 510 metri quadrati di lusso e relax creati all’interno del terzo satellite con accesso riservato agli imbarchi oggi inutilizzati e in futuro destinati a essere comunque sottoutilizzati. Un investimento di milioni di euro. Indovinate chi li ha pagati? 

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